Internet, un dilemma per le Aziende

Quando mi hanno invitato a partecipare all’avventura di Tech Economy mi sono detto che il primo pezzo per una testata  deve avere un che di simbolico. Esprimere un pensiero profondo, qualcosa in cui credo.

Allora ho ripreso il primo pezzo che ho scritto, in assoluto, per Web Marketing Tools nel 1998 – quello che si chiamava “Internet, un pericolo per le aziende” (se volete lo potete ancora trovare qui).

E ci ho ragionato sopra. Passando per una successiva versione del 2010 che si sarebbe dovuta intitolare “Social Media, un pericolo per le aziende” (che leggete qui. Tenendo presente, se volete, che entrambi i pezzi servono a completare il discorso sintetico che faccio qui, e oggi).

In modo da non partire da zero ma in qualche modo riallacciare un discorso sensato.

Non più un pericolo, ma un dilemma sì
Oggi Internet e i Social non sono più un pericolo (anche se a sbagliarli si corrono rischi) ma sicuramente sono e devono essere fonte di preoccupazioni o di dilemmi in azienda.

Tutti ci dicono, leggiamo ovunque che il digitale o si fa sul serio o non si fa. Che per entrare nello spazio digitale non dobbiamo “fare” il social media, ma essere social – il che implica cambiare il modo in cui l’azienda vede se’ stessa e il modo di interagire con il mercato. Riorganizzandosi. Arrivando a trovare persino nuovi modelli di business. Se guardiamo agli esempi di eccellenza, le famose Case History che sono così popolari in formazione (e che mi sono puntualmente richieste), vediamo che per giocare sul serio su queste piattaforme dobbiamo fare investimenti cospicui, non i diecimila euro avanzati tra le pieghe degli investimenti in advertising.

Ma se guardiamo ai soldi e alla disruption…

Se poi però facciamo i conti, vediamo che per fare tutte queste cose viene richiesto all’azienda di investire nel progetto cifre notevoli, di destabilizzare procedure e competenze consolidate per diventare 2.0. Di scardinare l’esistente per intraprendere un viaggio in larga misura sperimentale. Di spendere in formazione e in acquisizione di nuove competenze e talenti.

Di conseguenza, accollarsi dei costi – che o sono coperti dal taglio dei margini (che, in tempo di crisi, sono già spesso risicati) o aumentando i prezzi. Il che, sempre in tempo di crisi non è cosa da fare a cuor leggero – anche perché la storia insegna che si possono amare le marche che meglio delle altre ci curano, ci coccolano, dimostrano di averci capito. Ma che, messi alle strette da un portafoglio sempre meno gonfio, si compra da chi ci tratta male ma riesce a farci il prezzo più basso.

Il dilemma è il punto di equilibrio
Proprio qui, secondo me sta il dilemma, il punto cruciale della strategia digitale delle aziende. Trovare il break-even point, il livello in cui ha senso per la nostra azienda e il nostro mercato posizionarci come azienda digitale… mantenendo al contempo la sostenibilità dei costi.

La soluzione non può che arrivare, purtroppo da un altro punto destabilizzate – la necessità di una sperimentazione continua. Perché sono finiti i tempi dei piani monolitici, delle strategie e delle campagne come fossero petroliere, che ci vogliono anni per cambiare rotta di qualche grado.

Sperimentare, accettare la certezza che qualcosa si sbaglierà (e non per questo perderemo la poltrona, bisogna di questo convincere l’amministratore delegato), scommettere che qualcosa si farà giusto e che per approssimazioni successive si trasformerà in un’operazione di successo.

Correndo qualche rischio e incorrendo in qualche pericolo, sapendo che, almeno per il futuro prevedibile, il mercato ci richiede di giocare come si deve sul tavolo digitale. A costo di accollarci molti dilemmi. Ma questo è storicamente il ruolo del bravo manager, digitale o non digitale… vero?

 

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