Retwittare o non Retwittare: questo è il problema

“Reetweets are not endorsement” (trad. “i retweet non comportano necessariamente approvazione”). Nel corso degli utimi mesi, questa frase ha fatto la sua comparsa sui profili di molti utenti Twitter (in prevalenza, giornalisti), probabilmente in seguito all’adozione da parte di alcuni organi di informazione di social media policy. In tali documenti viene, infatti, disciplinato anche il codice di comportamento che i dipendenti devono rispettare nell’uso dei Social Media, eventualmente anche in ambito privato (possibilità di avere un’autonoma presenza e tipo di contenuti vietati, possibilità di indicare la propria appartenenza all’azienda anche sui profili personali, possibilità di interagire con la presenza aziendale).

Ma la frase “RT are not endorsement” ha davvero un significato e un’efficacia giuridica? Oppure è solo un nuovo “social status symbol”, un’espressione di moda, l’ennesimo disclaimer “copia&incolla” che si afferma sul Web?

Andiamo con ordine. Sulla natura del retweet ci sono diverse opinioni: per alcuni si tratta di semplice citazione che non implica alcun sostegno o approvazione del messaggio retwittato.

 

In realtà, questa interpretazione non convince. Secondo quanto riportato sul sito di Twitter, alla voce “Cos’è un Retweet?” è scritto quanto segue

“Ti piace un Tweet? Retweet! A volte capita di leggere un Tweet che vuoi condividere con altri. La funzione Retweet (nota anche come “RT”) serve a condividere i Tweet con chi ti segue.”

Quindi, per convenzione, un messaggio viene retwittato quando ci piace e vogliamo condividerlo con altri. E in effetti sembra una soluzione abbastanza intuitiva se solo si ha riguardo alla natura stessa del retweet: fare proprio un messaggio, ampificandone la platea rispetto ai followers dell’utente che ha postato il messaggio originario.
Come sostenere che il retweet non comporta sostegno se a quel messaggio (e all’utente che lo ha inviato) cediamo ciò che c’è di più prezioso che abbiamo sul Web, ovvero la nostra reputazione.

Facciamo un esempio: se retwitto un messaggio con l’hashtag #freerossellaurru, non c’è dubbio che dia la sensazione di aderire alla campagna per la liberazione della cooperante italiana; allo stesso modo, se retwitto un mesaggio contenente offese o contumelie ad un soggetto, lo faccio mio, con ogni conseguenza del caso.

Il discorso appena fatto vale, ovviamente, per il c.d. “naked retweet”, quello effettuato – cioé – senza nulla aggiungere al messaggio originariamente postato. Le cose cambiano invece se, nel condividere il tweet, aggiungo un commento che espliciti quello che penso: condivisione (ad es. “+1”), dissenso “(ad es. “non sono d’accordo”) oppure invito i miei followers ad esprimersi (es. “cosa ne pensate?”).
In questo modo, il retweet diventa efettivamente una citazione e viene esplicitato meglio il motivo per cui decido di inoltrare un messaggio anche ai miei contatti.

Le solite questioni da avvocato, si dirà. In realtà – a prescindere dal fatto che, all’estero, alcuni utenti sono già stati chiamati a rispondere per i loro retweet – ritengo sia opportuno che, proprio adesso che il numero degli utenti Twitter sta crescendo in modo esponenziale, si diffonda un uso responsabile di questo strumento.
Non è auspicabile ritenere che (e far passare il messaggio per cui) basti una semplice frase per liberarsi da ogni genere di responsabilità in ordine ai contenuti condivisi.

E voi cosa ne pensate? Ritwittate? (ops) Condividete?

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Avvocato, specializzato con lode in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione. Si occupa, per professione e per passione, di diritto delle nuove tecnologie e di diritto amministrativo. Docente presso l’Università degli Studi della Basilicata, è relatore in convegni, incontri e seminari sulle materie di attività e tiene lezioni in Master Universitari, corsi di formazione e specializzazione. Autore di numerose pubblicazioni (cartacee e digitali) sui temi del Diritto Amministrativo e dell’Information Technology Law, è Vice Direttore del Quotidiano di informazione giuridica “LeggiOggi.it” e componente del Comitato Scientifico della Rivista “E-Gov” di Maggioli. È referente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza presso la Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense (FIIF) e componente del Gruppo di Lavoro per i giovani avvocati del Consiglio Nazionale Forense. È socio fondatore e segretario generale dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione e Presidente dell'Associazione Italiana per l'Open Government; oltre al proprio blog (“Diritto 2.0”), è tra i curatori di "TheNextGov", uno spazio sul sito de "L'espresso" in cui parla di nuove tecnologie e innovazione in ambito pubblico.

3 COMMENTS

  1. Ritwitto anche cose che nn condivido,il twitt ironico per così dire é molto diffuso.per es: se ritwitto flaviaventosole o Formigoni nn é per un endorsement. Recentemente ho ritwittato scilipoti,devo preoccuparmi che i miei follower possano pensare che io sia una sostenitrice?
    Allo stesso tempo uso il retwit anche come approvazione,condivisione di pensiero.
    Il giudizio di chi legge è veloce e sta in 1,40 secondi 🙂

  2. Non sono d’accordo con questo articolo. Faccio un esempio. L’apologia del fascismo è reato in Italia. Dai miei tweets è chiaro che io sono antifascista: non c’è alcun dubbio su questo.
    Se io faccio il RT di qualcuno che inneggia al duce è palese che non ho cambiato tutti i miei ideali da un momento all’altro. Oppure potrei essere giudicata per quel RT e condannata per apologia del fascismo?
    Mi sembra che ogni caso vado valutato per sé, non trovi? Account come vendommerda non fanno rt di quelli che scambiano la Montalcini sia la Montessori perché pensano che sia effettivamente così, lo fanno per sottolineare la stupidità umana che si ritrova anche su Twitter. Che sia giusto o meno questo è un altro discorso, ma mi sembra chiaro che l’RT, che se ne dica nel regolamento, ha diverse sfaccettature e da un punto di vista giuridico non si può pensare semplicemente come ad un RT come “endorsement”, bisogna invece capire il contesto (e non è una cosa difficile da farsi)

  3. Il retweet ironico, o sbeffeggiante, è una modalità che ho già visto in pratica, soprattutto se effettuata da persone di cui conosco i pensieri abituali.
    Il caso del povero sudcoreano messo in carcere per il RT sarcastico sul leader della Corea del Nord è veramente incredibile, una cagata pazzesca, ma si sa che da quelle parti l’ironia non abbonda, e i 2 paesi sono sottilmente in guerra fra loro.
    Resto un pò sconcertato che si possano avere problemi per un RT nudo e crudo di cui sia chiaro l’intento ironico.

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