Twitter non esiste

Al povero Michele Serra, reo di aver detto in una sua Amaca che Twitter gli fa schifo perché i 140 caratteri, a suo dire, non consentirebbero posizioni mediate e ragionate, ma solo uno schierarsi calcistico di qua e di là nel commentare un fenomeno, ormai han già detto di tutto: di essere un vecchio barbogio che non capisce i nuovi media, di essere altrettanto sommario nel giudizio quanto i twitteri che criticava, e chi più ne ha più ne metta.

Diciamo che Serra si è messo nelle peste da solo, nel momento in cui ha raccontato, con la stessa ingenuità con cui le vecchie zie confessavano di aver ascoltato un concerto rock assieme ai nipoti e di aver trovato quella musica una accozzaglia di suoni incomprensibili, che la sua esperienza di Twitter si era limitata all’affidarsi ad un “amico molto più giovane e interconnesso si lui”, che gli aveva letto in diretta i tweet che commentavano un programma tv.

L’ingenuità di Serra – meno scusabile però di quella delle vecchie zie, che di mestiere facevano le pensionate brontolone, mentre Serra fa l’opinionista per un giornale – non sta tanto nell’essersi scelto questo “amico più giovane ed interconnesso” che gli facesse da Virgilio nel girone infernale di Twitter, ma nel non aver colto un particolare fondamentale della struttura di qualsiasi Social Network, o meglio dell’intera internet, e cioè il fatto che per quanto si possa essere “interconnessi”, o affidarsi ad amici molto introdotti, la visione che si avrà della rete e di quello che viene postato in essa sarà comunque legato ad una scelta di contatti che si fa a priori. Se si sceglie di seguire chi posta e non accetta discussioni, si avrà l’impressione che tutti lo facciano; ma anche se si scelgono contatti che parlano solo di pesca con la mosca o delle interviste della Bignardi, sembrerà che sul web non ci siano altri argomenti di interesse se non il retino per le trote o le Invasioni Barbariche.

Michele Serra (e molti dei giornalisti italiani quando parlano di “rete” o di “Social Network” o ancora peggio del “popolo del web”) commettono il medesimo errore: confondono l’intera rete con una cerchia più o meno vasta di contatti cui loro hanno accesso e che leggono abitualmente. Per cui se dentro questa cerchia il giorno X si parla dell’argomento Y desumono non solo che l’intero web non parli d’altro, ma anche che tutto il web, nel suo complesso, o tutto Facebook e Twitter, parlino dell’argomento Y esattamente nei termini in cui se ne parla nella loro cerchia di contatti.

Prendiamo il caso di Michele Serra e del suo amico twittero-virgilio: i due guardano il programma Tal dei Tali. Serra, a questo punto, chiede al suo SocialVirgilio di leggergli in diretta cosa Twitter dice, e l’amico SocialVirgilio cosa fa? Guarda nella sua Home, che però racchiude le persone che lui ha scelto di seguire e non altre, quindi non tutto Twitter, e legge a voce altra cosa stanno scrivendo. Non è escluso che la maggioranza dei commenti sia pro o contro il programma Tal dei Tali, o usi i 140 caratteri per dare solo giudizi trincianti senza un minimo di approfondimento, ma questo modo di procedere non rappresenta un campione statistico valido ai fini di determinare cosa ne pensi tutto Twitter, perché rappresenta al massimo una media matematica di cosa pensano i contatti dell’amico Social Virgilio di Serra.

Voi mi risponderete: sì, ma l’amico SocialVirgilio di Serra non è così ingenuo, quindi, seguendo   l’hashtag dedicato al programma, sarà andato a controllare cosa postavano anche i twitteri al di fuori della sua cerchia abituale. Siamo d’accordo, ma su Twitter gli hashtag sono un flusso continuo, cui è difficile star dietro: o per tutta la serata, dal primo all’ultimo minuto del programma, Serra ed il suo amico han controllato uno ad uno tutti i tweet, o anche quello dell’hashtag è un criterio che non dà una panoramica statisticamente affidabile per determinare cosa ne pensasse tutta Twitter, soprattutto perché non è raro che gli hashtag con cui commentare siano più d’uno, e parecchi tweet magari non ne riportino nessuno, rendendo più difficile una ricerca.

Direte: «E vabbe’, passi. Però la critica a Twitter regge comunque, perché qualsiasi opinione si esprima, pro o contro, sempre 140 caratteri hai a disposizione, per cui Serra vede giusto quando dice che si tratta di affermazioni brevi e che tendono alla slogan. E che non favoriscono la nascita di approfondimenti e discussioni.» Anche qua, la teoria di Serra non mi convince fino in fondo, perché ogni social, pur avendo delle caratteristiche specifiche sue, è poi trasformato dall’uso che ne fanno i suoi utenti. Su Twitter la velocità e la brevità fulminante sono le caratteristiche fondamentali; ma ciò non toglie che fra retweet, citazioni e risposte a tweet altrui, possano crearsi botte e risposte interessanti e stuzzicanti, o anche emergere modi particolari di gestire il proprio account. Se l’amico SocialVirgilio di Serra, per esempio, avesse avuto fra i suoi contatti Umberto Eco, avrebbe potuto mostrare un modo tutto particolare di usare il mezzo da parte di un filosofo, che posta catene di tweet su uno stesso argomento, creando un flusso che diventa quindi un discorso più ampio. Se avesse avuto fra i suoi contatti i Wu Ming, si sarebbe accorto che invece questo gruppo molto legato alla rete ha deciso di usare Twitter come aggregatore, per pubblicizzare discorsi che poi si espandono su altri canali (blog, Fb, etc). Se inoltre l’amico, oltre che gli apodittici tweet che tanto han colpito Serra, avesse letto anche parte delle risposte fra utenti comuni che magari quei tweet così icastici generavano, la cosa sarebbe sembrata a Serra molto più movimentata e meno “univoca”.

Dunque il problema non è che Twitter impone e in qualche modo costringe a pensare, come Serra sostiene, in maniera manichea e sintetica, senza permettere l’approfondimento o la sfumatura, e nemmeno il dialogo. Tutto dipende da chi abbiamo scelto di seguire e da come costoro usano il mezzo, che, pur nel ferreo limite dei 140 caratteri e con una certa rigidità di impostazione, dà però modo di creare anche qualcosa di un po’ più complesso che non degli slogan. Ma poi, a dirla tutta, pare un po’ strano che a lamentare l’eccesso di frasi ad effetto, perentorie e spesso insindacabili, sia proprio un giornalista, e che viene fuori da Cuore prima e da Repubblica dopo. Giornali che sui titoli forti, ad effetto, spesso polemici e feroci, pensati apposta per scuotere il lettore, hanno basato parte del loro successo. E prima che diventasse di moda Twitter. eh.

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4 COMMENTS

  1. Questa polemica su twitter mi sembra francamente ridicola, come risibile, oltreché ovvio, è quello che dice Serra. In sostanza, sintetizzando grossolanamente, lui dice: con twitter non si fa ragionamento o, peggio ancora, “cultura”. E chi l’ha mai preteso? E’ una cosa che non sta né in cielo né in terra. Perché allora Serra non critica allo stesso modo gli sms? C’è tanta gente che usa twitter per scrivere scemenze, senza dubbio, o fatti personali del tutto irrilevanti, ma c’è anche gente che usa il mezzo per quel che è: scambiare informazioni, segnalare link, articoli etc. Cosa c’è di male? Anche io, come altri, lo uso sostanzialmente per cercare informazioni, come una specie di “ansa” personale sui temi che mi interessano. Ma affibbiare a Twitter compiti e scopi che non ha, e che non può avere, mi pare un errore davvero grossolano per un giornalista

  2. Il fatto è che Twitter mette in discussione tutto l’establishment del giornalismo e della cultura… Se il primato della notizia non è più dei giornali e nemmeno dei giornalisti… che non ne garantivano la veridicità neanche prima, anche gli “intellettuali” devono riconoscere che ora la cultura ora può essere fatta da chiunque abbia qualcosa di sensato da dire e da esprimere, Vita dura per chi, solo grazie al “nome” poteva permettersi di ammorbarci su giornali e con libri scrivendo anche (alle volte) solenni stupidaggini …

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