Servono davvero i talenti?

Talk about a dream, try to make it real
You wake up in the night with a fear so real
Spend your life waiting for a moment that just don’t came
Well, don’t waste your time waiting

 Parli di un sogno, cerchi di tradurlo in realtà
Ti svegli di notte con il terrore vero di passare la tua vita ad aspettare
un momento che semplicemente non arriva
Beh, è meglio non sprecare tempo nell’attesa

(Bruce Springsteen – Badlands)

Oltre che negli ascensori con gli occhi fissi per terra per paura di incrociare lo sguardo degli altri avventori, gran parte della nostra vita scorre sul nostro posto di lavoro, il più delle volte inseriti in un’organizzazione che dovrebbe consentirci di lavorare e vivere bene in un ambiente collaborativo, in cui il valore è collettivo ed è dato dalla somma delle individualità, delle singole professionalità e dalla bravura di tutti noi.

Ma è così?

Le Organizzazioni sono attente ai bisogni e alle condizioni delle persone?
Ho l’impressione che spesso le ‘organizzazioni siano giungle, un posto tosto in cui vivere, un posto in cui, se non si è vigili si viene divorati ed espulsi in una frazione di secondo insieme tutto ciò che nel tempo si è riusciti a costruire in termini di conoscenza, carriera, relazioni.

Un posto in cui spesso si passa la maggior parte del proprio tempo nel cercare di evitare il peggio, di capire qual è la cordata giusta. Un posto in cui forse il lavoro, l’abilità e la capacità sono sì importanti, ma spesso non essenziali. Un posto in cui molte persone viaggiano sulla corsia di sorpasso con la freccia lampeggiante, pronte a superare qualsiasi cosa si ponga davanti a loro.

E Bruce in Born to Run canta: “The highway’s jammed with broken heroes on a last chance power drive (Le autostrade sono intasate da eroi quasi vinti con la marcia ingranata su un’ultima possibilità)”. Una sorta di lucida follia di matti razionali pronti a correre non importa in quale direzione, per i quali l’importante è correre.

E quando poi ci si chiede il perché, la risposta è “solo per carriera, conoscenza, relazioni”: gli stessi motivi per cui di corsa si può essere allontanati. Si sente dire spesso durante convegni e seminari: “Il valore della nostra Azienda è nelle persone”, “Noi curiamo le nostre risorse”, “Siamo un’Azienda attenta ai bisogni dei nostri collaboratori”, “La nostra cultura aziendale è fondata sui valori e per noi le persone sono al primo posto”, “Siamo alla continua ricerca dei migliori, di quelli che fanno la differenza”.

Questo è ciò che si racconta: racconti o, meglio, forse favole? In pratica, si racconta (si favoleggia) che il valore delle aziende sia rappresentato dalle risorse umane (‘risorse’ umane, già questo è sinonimo d’ipocrisia di fondo), repository in cui la conoscenza, la competenza, la professionalità e la meritocrazia sono il vero credo. Questo è quanto ci raccontiamo. E i talenti?

Quante procedure di valutazione per scovarli e poi…? Quante parole per convincerli di essere approdati nell’azienda giusta per loro (ma poi non si capisce perché altri in altre aziende li lascino andare). Poi spesso i talenti in Azienda sono visti come diversi e si fa fatica ad assumersi i rischi che comporta il doversi relazionare con persone diverse: un bambino ‘con talento’ in un asilo scatena spesso la reazione delle insegnanti che chiamano i genitori per protestare in merito alla vivacità del pargolo, alla scarsa attenzione e magari al fatto che con la sua esuberanza ostacola il regolare svolgimento delle attività.

Le aziende come gli asili, come la società, come la scuola, difficilmente danno spazio, accolgono, valorizzano la diversità: spesso la cercano, la invocano, ma poi, alla fine, hanno paura di non riuscire a gestirla o di non saper soddisfarne le richieste di cui un ‘diverso’ ha bisogno. E se invece fosse fuorviante parlare di talenti e di differenza? Forse la vera sfida per le organizzazioni non consiste nel gestire professionalità fuori dalla norma, eccezionali.

Forse la vera difficoltà dell’Azienda sta nel creare pensiero e conoscenza, soprattutto intorno alle individualità più ‘ordinarie’: il sorriso nella voce della centralinista, la precisione nella risposta di un contabile, l’ascolto dei suggerimenti, delle proteste, lo spazio necessario per esprimere dissenso, il rispetto del tempo degli altri… Sono convinto che molte aziende che pensano di aver bisogno di grandi talenti abbiano invece bisogno di piccole individualità umane: non astrattamente ‘risorse umane’, ma persone.

C’è sempre più bisogno di valorizzare quelle piccole, grandi, individualità già esistenti piuttosto che andare alla ricerca di ciò che manca. E poi ricordiamoci come scriveva Ross Pierrot che: “Le persone non possono essere gestite…, Le giacenze di magazzino possono essere gestite, ma le persone vanno guidate”.

E lo si può fare solo se chi è al posto di comando è lì a condividere la quotidianità e, soprattutto, dà l’esempio.

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