La comunicazione in emergenza

L'autrice Alessia Tronchi è Responsabile dei Sistemi di Comunicazione del Comune di Monza,con particolare attenzione al web e al multimediale. Di lei dice che: "Combatte tutti i giorni contro vincoli e oscurantismi a favore della buona innovazione. Alle volte vince, altre volte aspetta…lungo il fiume…" Per Tech Economy spiega quale comunicazione è bene che la PA metta in campo in caso di emergenza.

Le calamità naturali che hanno recentemente colpito diverse zone d’Italia (dall’alluvione in Liguria all’ondata di gelo nel centro del paese) hanno messo in risalto la crescente necessità, per le Pubbliche Amministrazioni, di comunicare in modo rapido ed efficace con la cittadinanza.

Se prima, nell’emergenza, l’attenzione era concentrata unicamente sull’intervento di protezione civile, ora ci si è finalmente accorti che la comunicazione, se fatta bene ed in tempo reale, può essere di validissimo aiuto sia per chi si deve occupare dei soccorsi, sia per chi li attende.

La protezione civile sa bene che, in situazioni di pericolo, l’emotività e la percezione soggettiva degli eventi spesso hanno la meglio sulla razionalità ed il buon senso. Accade così che i centralini degli organismi deputati a gestire gli aiuti siano intasati da persone che richiedono semplicemente informazioni o interventi affatto urgenti.

A tutto ciò si aggiunge il massiccio utilizzo dei social media che, in quelle occasioni, diventano delle casse di risonanza enormi, contribuendo non di rado ad accrescere l’allarmismo e la diffusione di notizie false.

Presidiare la comunicazione in tutte le fasi dell’emergenza diventa, quindi, non solo opportuno, ma assolutamente necessario; diventa parte stessa dell’attività di protezione civile.

Il Social Media Emergency Manager

Ma chi è in grado di effettuare una simile attività e di prendersi le responsabilità che ne derivano? Negli Stati Uniti si inizia a discutere intorno alla figura del Social Media Emergency Manager, colui, cioè, che dovrebbe coordinare la comunicazione immediatamente prima, durante e dopo la fase emergenziale.

Nell’attesa che nasca e si diffonda questa nuova professionalità possiamo però iniziare a porre le basi per una buona attività d’informazione.

E’ infatti in “tempo di pace” che dobbiamo costruire le relazioni, l’organizzazione e le prassi che ci permetteranno di agire nel miglior modo possibile in situazioni in cui è facile lasciarsi andare al caos e all’agitazione.

Per prima cosa occorre precisare che chiunque si assume il ruolo di presidiare la comunicazione in emergenza deve essere in grado di agire in modo diretto e immediato su tutti i canali informativi che l’Ente ha a disposizione. Infatti, se real time e viralità sono diventate le parole d’ordine della comunicazione del terzo millennio, appare chiaro che il semplice comunicato stampa da diffondere a intervalli regolari ai tradizionali media, non basta più.

Gli strumenti principali di questo nuovo modo comunicare sono il web, cioè siti e social media, ed il cellulare, con sms e ashtag, perchè garantiscono immediatezza, condivisione e interazione con un numero potenzialmente infinito di persone. Strumenti che vanno usati, sperimentati e implementati già nella normale attività informativa, in modo da poter disporre, al bisogno, sia del know-out necessario, sia di una comunità già estesa e abituata.

E’ necessario inoltre che il team della comunicazione sia in possesso di una buona conoscenza del territorio e del proprio ente, per poter “parlare” con cognizione di causa e saper a chi rivolgersi per avere informazioni attendibili da divulgare.

Presenza, Prontezza e Padronanza

Per riassumere con uno slogan occorre Presenza, Prontezza e Padronanza degli strumenti che si sceglie di utilizzare.

Presenza perché sul web si è attendibili e autorevoli solo se si è abituati a garantire aggiornamenti continui e costanti. Le PA che usano il sito o i social media sporadicamente, si troveranno svantaggiate e più probabilmente saranno preda di azioni estemporanee di cittadini privati, particolarmente attivi nel cercare di colmare il gap comunicativo, con tutti i rischi che ciò può implicare.

Non è facile, infatti, trovare persone come “Gli Angeli del Fango” di Genova, che nei momenti coincitati dell’alluvione si sono assunti dal nulla il ruolo di comunicatori dell’emergenza con spirito di servizio e grande senso responsabilità, lanciando appelli e postando informazioni certe, valutate e affidabili.

Prontezza perché il real time impone informazioni e risposte immediate. Ciò presuppone la costruzione preventiva di un rapporto di reciproca fiducia con gli uffici e gli enti che guidano gli interventi emergenziali, se non addirittura la presenza diretta nella centrale operativa dell’unità di crisi. Non ci si può aspettare che in quelle situazioni siano le informazioni a “venire a noi”, bisogna captarle, valutarle e veicolarle al momento giusto anche senza aspettare input o autorizzazioni alla pubblicazione.

Padronanza perché bisogna conoscere gli strumenti che si utilizzano ed il linguaggio a loro più adatto. Un post su Facebook è diverso da un messaggio su Twitter, ed entrambe differiscono da come si deve veicolare la stessa informazione sul sito.

Occorre pertanto conoscere le dinamiche di utilizzo dei diversi social network, essere preparati ad affrontare il dialogo, l’interazione, la critica feroce, per non cadere nel tranello della polemica sterile e pretestuosa e rimanere orientati all’obiettivo, che è quello di aiutare i cittadini e le istituzioni a far fronte a ciò che rimane, in ogni caso, una situazione drammatica.

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1 COMMENT

  1. La figura del Social Media Emergency Manager è indispensabile ma senza 112, il numero unico europeo per le emergenze, sarebbe senza coordinamento.
    Prima il 112 quindi, già attivo praticamente ovunque in Europa. L’Italia è già stata condannata dalla Corte europea di giustizia per questo inadempimento il 15 gennaio 2009.

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