Stop Agcom sul Copyright: interessi dei cittadini vs. le majors?La parola a Luca Nicotra

Dopo aver sentito il parere di Matteo Mille, Presidente di Business Software Alliance abbiamo chiesto a Luca Nicotra come valutasse lo stop dell’Agcom sul Copyright.
Fondatore a meno di trent’anni di Agorà Digitale, l’associazione che dal 2009 si batte per i diritti digitali, la privacy e della trasparenza, Luca Nicotra è stato trai promotori delle numerose iniziative che in un anno si sono avviate contro la proposta dell’Agcom.
Prosegue così il nostro “giro di tavolo” con i protagonisti della battaglia sul Copyright, per capire come avere una rete libera nel rispetto dei diritti.

Segretario di Agorà Digitale

Il passo indietro di Agcom: una vittoria del popolo della rete o una sconfitta per la tutela del diritto d’autore?
Il “popolo della rete” non esiste, perché il popolo della rete sono i cittadini stessi che usano uno strumento potente come internet per esprimersi. In realtà lo scontro è tra un interesse diffuso dei cittadini, e gli interessi di gruppi organizzati dei produttori di contenuti. Per noi è una vittoria, perché non può essere Agcom a deliberare su una materia di legge; e perché ha dimostrato di essere un organismo fortemente influenzato dai poteri forti. Secondo me è una vittoria per tutti, alla quale hanno contribuito in tanti: in diciotto mesi sono state avviate cinque differenti raccolte di firme che complessivamente arrivano quasi a cinquecentomila. Praticamente un referendum! Ci sono stati anche una decina di atti parlamentari sul tema, sarebbe stato preoccupante se in un paese libero non se ne fosse tenuto conto.

Perché è importante che un provvedimento come quello atto a regolamentare il copyright in Rete passi per il Parlamento e non venga emanato direttamente dall’Agcom?
Per quanto difficile, e ci scontriamo con una classe politica inadeguata, l’unico passaggio è quello parlamentare. La scelta di non fare niente sarebbe altrettanto inaccettabile perché, ora che la rivoluzione digitale mette in seria difficoltà molti comparti industriali, si faranno sempre più pressioni sulle istituzioni. Si cercherà di ottenere leggi che tutelino interessi ristretti rispetto alla collettività. Le grandi multinazionali e i grandi gruppi hanno una forte influenza sulle istituzioni, ed è certo che un passaggio parlamentare può rendere più difficile questa influenza. Tra l’altro il Parlamento e il Governo hanno dichiarato di voler intervenire, pur tenendo conto della proposta dell’Agcom, con una riforma più ampia facendoci ben sperare.

Quali sono i principali elementi di criticità della proposta di regolamento che avrebbe emanato Agcom?
Il regolamento parte da una visione completamente falsa di quello che sta avvenendo. I dati dimostrano che a livello internazionale c’è una crescita dei produttori di contenuti on-line, non una perdita. L’industria dell’intrattenimento ad esempio, negli ultimi dieci anni è cresciuta del 50%, il mercato della musica è passato dai 132 miliardi del 2005 ai 168 del 2010, quello dei videogame dai 56 miliardi del 2008 a 135 nel 2011. Ci sono industrie che sono messe in difficoltà nel settore tecnologico, ma in questi settori, internet non sta per nulla generando crisi. Dobbiamo trovare un bilanciamento migliore che tenga conto di altri fattori. Le leggi sulla pirateria esistono già e sono efficaci: uno studio dell’Ocse dice che nel 2009 ci sono stati in Italia 344 controlli e migliaia di verifiche. Anche operativamente, è improponibile la proposta dell’Agcom: ventiquattrore di tempo per rimuovere il contenuto con un parere dell’Autorità. Parliamo di un contesto, dove i tempi lunghissimi della giustizia italiana, lo rendono inattuabile. L’Agcom non ha le risorse e le competenze per questo lavoro. Lo dimostra la risposta della Commissione europea sul testo, che è una continua matita rossa. Le definizioni sono continuamente mescolate: da sito web a sito di streaming o gestore di contenuti. Pare addirittura s’introducesse una formula super ius, che non è consentita nell’ordinamento.

Matteo Mille, presidente di BSA Italia, ha parlato di rischio per gli investimenti esteri in Italia a causa del nostro inserimento nel Report 301. Qual è la sua opinione in merito?
Il problema in Italia semmai è quello della legalità e della burocrazia in generale. Sfido qualsiasi imprenditore che voglia lavorare nel mercato digitale, a investire in un Paese che non sviluppa le reti a banda larga, non rinnova le sue normative e ha una burocrazia soffocante. In Italia produrre un e-book ha un’iva superiore a quella di un libro cartaceo. Siamo un paese arretrato, in una sorta di secondo mondo tecnologico. Davvero pensiamo che gli investitori nel settore digitale preferirebbero l’Italia se avessimo una diversa normativa sul diritto d’autore? Ci sono altri fattori che influenzano la crescita del mercato dei contenuti in digitale. Viene prima l’Agenda Digitale italiana e poi le nuove normative sul copyright. Perché come fa altrimenti un’azienda di cloud computing, o un sito di streaming on-line, ad investire in un paese dove non c’è una fibra ottica diffusa? Queste sono le vere barriere da superare.

In concreto: come bilanciare la legittima difesa del copyright da parte delle aziende con l’altrettanto legittima necessità di tutela del principi di libertà e di accesso universale degli utenti? Ossia: se dovesse fornire indicazioni ai legislatori che si occuperanno del problema, quali sarebbero i principi più importanti da quali partire per la definizione di un impianto normativo efficace?
Una precisazione: non stiamo confrontando solo principi: ci sono diritti, ma anche domande su quale tipo di economia vogliamo. Non consentire sistemi di censura forte, consente anche di sviluppare più rapidamente il mercato. Il monopolio del copyright nasce per tutelare determinati soggetti, ma non esiste in natura. Siamo sicuri che un controllo totale di un’opera da parte di un editore sia la cosa migliore? La stessa Agcom in uno studio precedente, rilevava il vantaggio di una libera circolazione delle informazioni e dei contenuti per promuovere la cultura e l’innovazione. Questa è la linea su cui andare: dobbiamo ridurre gli sprechi e rivedere i sistemi di retribuzione. Andrebbe riaperto un mercato dell’intermediazione, a dispetto di organismi come la SIAE che, a detta di tutti, non è efficace ed efficiente. Noi vogliamo portare tutte queste istanze ai decisori, certi di un riscontro positivo.

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