Chiarelettere: quando programmare un tweet diventa un rischio

Prima regola dei social media: bisogna esserci. Sempre. E non solo per le cose importanti, ma anche nella quotidianità di tutti i giorni. Un brand ha successo sui social media perché, nella maggior parte dei casi, è riuscito a creare un rapporto diretto con i suoi utenti.

Se ogni mattina vado sempre nello stesso bar a prendere il caffè, è perché in quel posto so di trovare gente simpatica e cortese, con cui scambiare quattro parole, parlare del tempo e commentare i fatti del giorno. L’engagement, appunto.

Un brand può usare i social media per stimolare l’engagement dei propri utenti e diventare “il bar mattutino” di parecchie persone. E questa cosa passa non soltanto attraverso la promozione del proprio marchio e dei propri prodotti e servizi, ma anche attraverso “l’essere sul pezzo” e creare discussione.

Per farla breve: perché un brand come Privalia, che vende sostanzialmente abbigliamento e oggetti per la casa, avrebbe dovuto condividere sulla propria FanPage una foto di Giovanni Falcone, nel ventennale della sua morte? Non ha nulla a che fare con i vestiti scontati al 70%, eppure quel contenuto ha riscosso un certo successo tra gli utenti abituali della FanPage.

Tutti sono disponibili a dire la propria sui temi di grande attualità, esattamente come siamo abituati a fare nel nostro bar mentre prendiamo il solito caffè.

Ovviamente, il segreto sta nel tenere alto l’engagement anche quando non c’è niente da dire: un semplice ciao, come va? fa chic e non impegna, specie quando a farlo è una grossa azienda che si rivolge ai suoi seguaci su Facebook o Twitter. Insomma, la chiacchiera disimpegnata infonde un po’ di calore umano al tutto, dando l’idea – forse sbagliata, forse no – che là dietro ci sia veramente qualcuno come noi, disponibile anche a scambiare una battuta sul tempo.

Bisogna esserci sempre, dicevamo. Ma, nei fatti, un admin di un profilo social non può esserci  proprio sempre sempre… E, per stimolare l’engagement nei momenti di calma piatta – tipo la domenica mattina – ci si può affidare a quei servizi online che permettono di programmare la pubblicazione di tweet e condivisioni su Facebook. Così ci sarà sempre qualcosa “in onda” e, con un pizzico di fortuna e i giusti input, la discussione si creerà da sé. Minimo sforzo, massimo risultato.

Ok. Ma cosa succede quando durante un weekend di tragedie – l’attentato all’Istituto Morvillo Falcone di Brindisi e il terremoto in Emilia – va online un tweet programmato come questo?

Ops.

Diciamocelo, il social media manager di Chiarelettere – casa editrice del Gruppo GeMS, che gravita nell’orbita di Casaleggio Associati, Sandro Parenzo e parecchie altre eminenze grigie del Web –  è stato sfortunato. Ha beccato con precisione chirurgica una serie di eventi drammatici, avvenuti nell’arco di poche ore. E così, un tweet programmato per le nove di domenica mattina – dal contenuto neutro – è diventato un boomerang.

E, infatti, qualcuno se n’è accorto subito:

Dopo un’ora e mezza, alle 10.24, finalmente Chiarelettere recupera la gaffe con un tweet ad hoc, decisamente più consono al sentiment generale della mattinata:

Ma l’incidente ha svelato il meccanismo, e fa riflettere su quella che credevamo essere una presenza costante, ma soprattutto reale dei brand sui social media.  Chi c’è dall’altra parte dei tweet della domenica mattina, del giorno di Natale, della mezzanotte di Capodanno? Nella maggior parte dei casi c’è un monitor spento e un manager altrove.

In questo caso la “gaffe” ha avuto origine da un evento esterno e imprevedibile. E quel tweet di Chiarelettere è risultato decisamente fuori luogo. Ma cosa sarebbe successo se la crisi avesse riguardato il brand stesso?

Stacchiamoci un attimo dal caso di Chiarelettere e facciamo un esempio. Un sabato sera come tanti un brand viene colpito da uno scandalo, da un fatto di particolarmente grave o comunque balza prepotentemente agi onori della cronaca, scatenando l’azione degli utenti: che effetto avrebbero quei tre o quattro tweet programmati… che non sono stati fermati in tempo?

Lesson Learned: Attenzione a simulare la presenza sul social media quando, in realtà, dall’altra parte dello schermo non c’è nessuno a vigilare sull’evoluzione delle discussioni. Un tweet fuori luogo in un momento poco opportuno può scatenare reazioni imprevedibili, rendendo urgentissimo un rapido intervento per recuperare la situazione.

Ps. Un pensiero a tutti coloro che hanno perso qualcosa o qualcuno durante quel brutto weekend del 19-20 maggio 2012…V.

Facebook Comments

5 COMMENTS

  1. Problema dei problemi, specie quando non hanno nulla da dire. Il pensiero vola ai politici e ministri con migliaia di presunti followers su Twitter o altrove…
    Solo due le possibili soluzioni: o utilizzano sistemi di intelligenza artificiale oppure utilizzano persone vagamente interessate, senza dire appassionate…

  2. Anche tra di noi che gestiamo il canale twitter dell’assistenza tecnica INFOSTUD @twinfostud (il servizio informatico della Sapienza) ci siamo posti il problema. Non copriamo il servizio tutto il giorno e neanche nei week end. Anche se questo è un limite (superabile?) preferiamo una presenza “sincera” e legata al nostro effettivo orario di umili travet 🙂

  3. Cristoforo: sicuramente l’interesse e la passione sono una componente fondamentale per lavorare bene. Ma so anche che non è facile, perché ancora troppo spesso i social media vengono buttati in mano a persone che si farebbero in quattordici, ma che non vengono adeguatamente formate per gestire le crisi, vedi l’ormai celeberrimo Caso Sucate dell’anno scorso.

    Francesco, buon lavoro a voi e a tutto il vostro gruppo! 🙂

  4. Uhm, no. Volevo solo dire che dietro i grossi nomi si nascondono nomi ancori più grossi ma poco noti al grande pubblico, un po’ come succede per le case farmaceutiche… Non scomoderei i massoni, per questo. Neanche il sacro Graal. : )

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