Sono pieni di entusiasmo. Quelli che vogliono digitalizzarsi dalla sera alla mattina, intendo. Non importa se siano aziende, singoli manager e imprenditori folgorati sulla via del web mentre fino a due settimane fa non avevano nemmeno la segreteria telefonica, o l’ottantenne zia Evelina che ha appena comprato lo SmartPhone perché glielo davano gratis con i punti del detersivo. Il fatto è che quando arrivano da te (e ci vengono perché tu sei quello/a che sa di internet) ti assalgono con un’ansia, una fame di innovazione che fa persino tenerezza. Perché vogliono imparare in venti minuti a bloggare, twittare, facebookare, pinterestare, youtubare, ma anche costruire siti in 3d, film con colonna sonora incorporata e avatar che fanno invidia a quelli di Cameron: loro, che fino a cinque minuti prima riuscivano sì e no con difficoltà a rispondere ad un sms.
I tardivi digitali sono i veri bambini del XXI secolo: perché mentre i nipotini di sei anni guardano tablet e pc con una sufficienza innata, come giocattoli che già li annoiano un po’, i Tardivi Digitali, invece, sono come i neofiti, quelli appena convertiti ad una nuova religione: ogni cosa appare loro meravigliosa e bellissima. E proprio per questo la delusione è dietro l’angolo.
I Tardivi Digitali, infatti, spesso pensano alla Rete ed al Web come ad una specie di Paradiso, anzi di Dio: un mondo iperuranio in cui son contenute tutte le risposte, e “Internet” è la versione informatica dell’antico Oracolo di Delfi. Sono sinceramente convinti che internet sia una specie di scatola chiusa con un kit di montaggio: vengono da te e vogliono le istruzioni per usarla, convinti che basti quello, capire come entrarci, per esserci dentro ed essere “digitali”.
La zia Evelina, per dire, ti chiede cos’è Google, e quando tu le apri la pagina e glielo mostri, dicendole che basta inserire il nome della cosa cercata e dopo però bisogna vagliare ad uno ad uno i risultati, per capire quello che serve davvero e scernerlo dal mare di fuffa che arriva comunque, ti risponde con una smorfia di disappunto: perché lei era invece convinta, ma convinta convinta, come di un articolo di fede, che internet, cioè Google, facesse tutto lui, da solo: non fornisse, cioè, un mero elenco di risposte, ma desse le risposte “giuste”, quasi leggendo nella tua mente cosa ti serve davvero. Quando capisce che con Google o con qualsiasi altro motore di ricerca la ricerca la deve fare comunque l’utente, col suo cervello e il suo buon senso, e il motore rende solo le cose immensamente più veloci, si sente tradita e presa in giro.
Stessa cosa per l’imprenditore Tardivo Digitale, il quale, dopo anni in cui si è rifiutato persino di tenere in ufficio un pc («Per quelle cose ci sono le segretarie!» tuonava un mio conoscente), improvvisamente – di solito perché il nipote di dieci anni lo ha brutalmente apostrofato come un pittoresco rudere di epoche passate – decide che la sua azienda/impresa/attività deve essere “su internet”. E così, di punto in bianco, senza nemmeno ben sapere cosa diavolo vogliano dire quei nomi, pretende che si apra un sito web, un sito mobile, l’account su Twitter, Facebook, Pinterest, Google+, pensando che sia appunto sufficiente “aprirli” perché essi si animino di vita propria, senza preventivare né una persona che li segua con continuità e competenza (chiama infatti a scrivere i tweet, ovviamente pagato in nero, il cugino della segretaria perché è perito tecnico e si intende di computer) né porsi il problema di quale sia la miglior politica aziendale di promozione sui nuovi media. Dopo due settimane, naturalmente, sbuffa e si incazza, perché “internet non gli porta un cliente”, e lascia morire tutto così, “perché lo sapevo io che era una bolla e non serve a niente!”.
Ecco, quando si ha a che fare con i Tardivi Digitali entusiasti, anche noi dobbiamo moderare il nostro entusiasmo. Perché la trappola è essere entusiasti del loro interesse, e dimenticarci internet non è una fede, quindi il primo passo è l’alfabetizzazione, non la conversione religiosa. Quindi, anche se pare crudele, è bene far evaporare parte della febbre di evangelizzazione del Tardivo. Spiegargli che internet è una cosa che si impara un po’ alla volta, e ci vuole tempo e pazienza: prima si studiano un po’ di termini, poi si fanno prove di navigazione guidata, ci si chiarisce cosa si cerca e come ottenerlo, si sceglie come fare il sito, a quali social iscriversi, chi frequentare sulla rete. E poi, con calma, ci si butta in tutto il resto. Un po’ alla volta e e accompagnati per manina da qualcuno che ne sa più di te. Sennò il rischio è che, navigando da soli e in acque sconosciute senza nemmeno saper nuotare bene, la prima volta che si casca fuori bordo, anche se non si annega, si beve così tanta acqua e si prende così tanta paura che non si vuole poi neppure bagnarsi il dito nell’onda che arriva piano piano, sulla battigia, nei giorni d’estate.
Bell’articolo, anche perché di tardivi digitali ne conosco parecchi. 🙂
Piccolo refuso nell’ultimo paragrafo: “e dimenticarci [che] internet non è una fede”.
Bellissimo articolo, molto poetico e scritto da un acuto osservatore
Interessante articolo ma belle anche le foto.
Ma dove le trovate?
Gigi
Articolo meraviglioso e assolutamente specchio della realtà. Per chi ha conoscenti che scoprono all’improvviso “L’Internet” la vita diventa un inferno in pochissimo tempo!
Quante volte nel mio lavoro mi è toccato sentire un cliente dire – adesso voglio che il mio sito esca al primo posto quando in Google cerchi “albergo in Italia”-.
Un inferno, appunto.
Ad un funesto digital native io, computer native, raccontai una favoletta ….e lui capì!
Leggetela anche voi:
http://www.attilioaromita.com/2012/04/internet-il-castello-incantato.html
…..e leggete anche altre storie.