Il pulcino pio è il trionfo dell’inter-passività

Mentre in tutto il mondo si celebrano i meme e i tormentoni che nascono su internet, e solo alla fine approdano sulle cronache di radio, tv e giornali, che esaltano la cultura del re-make e la creatività che nasce dal basso da noi accade esattamente il contrario.Ogni estate (eh sì, perchè i tormentoni sono una cosa prettamente estiva) qualcuno decide a tavolino che cosa gli italiani dovranno canticchiare, sbeffeggiare, e ovviamente anche detestare, perchè occorre coprire tutto lo spettro delle reazioni, quindi “deve fare anche un po’ francamente schifo”. E soprattutto di cosa gli italiani dovranno parlare per evitare di correre il rischio che siano loro a definire “l’agenda della conversazione” sotto l’ombrellone. Perchè poi a settembre (cioè adesso) si ricomincia con le cose serie: le stangate, i nubifragi, l’italia che cade a pezzi. Così nasce una cosa come il pulcino pio, che ha il pregio degli scogli che affiorano, o dei ciuffi di gramigna: sono sfacciati, e rivelano da subito la loro funzione.

Il web, nel rilanciare i nuovi mantra calati dall’alto, ha un ruolo crescente anche in Italia. Con una non trascurabile differenza rispetto ai paesi “Net-Aware”: da noi, internet è usata solo per contribuire a rilanciare in tutte le forme possibili quello che comunque rimane un prodotto imposto dalle catene di distribuzione chiuse, frutto di una precisa strategia di marketing, in questo caso ad opera di una emittente molto attenta all’avvicendarsi dei “trend passivi”. Così, proprio sui social media, proliferano non solo gli inevitabile 9999 remake, ma anche le polemiche e le notizie di cronaca, col risultato di occupare anche tutto lo spazio e l’attenzione che potrebbero essere impiegati – per usare un eufemismo – diversamente.

Quella dell’interazione con un blockbuster come “il pulcino pio” è solo l’illusione di una interattività. E’ “inter-passività”, vale a dire il riflesso che ci fa interagire con qualcosa che non abbiamo deciso noi, perchè di internet, tutto sommato, non sappiamo ancora cosa farcene. Con la precisa conseguenza di regalare una agonia più lunga ai decrepiti ecosistemi fondati sulle catene di distribuzione verticalmente integrate, quelle che provano ancora a dimostrare che “se hai le infrastrutture, imponi i contenuti”.

Il problema è che gli interlocutori  – a partire dagli inserzionisti pubblicitari –  ci credono ancora. O meglio, nonostante i ricavi in costante calo, hanno capito che è meglio far finta di credere ancora che se hai i tralicci, le rotative, le frequenze, le edicole potrai dettare anche il “something to talk about” anche sui media “a due vie”. Il che non sarebbe poi grave, perché nell’immediato la profezia si auto-avvera. Il punto è che tale visione sembra proiettarsi verso un futuro indefinito.  In sostanza, la strategia è occupare, finchè andrà bene a tutti, anche lo “spazio di risposta” di nuove, indefinite e fungibili “audience”: quelle della rete.

In tutto questo i socio-antropologi si affrettano a spiegare che “la tua vera necessità non è avere una canzone di cui parlare, piuttosto hai bisogno di un espediente aggregativo, un punto di contatto con gli altri”. Un espediente il più spensierato possibile, proprio perchè “il pensiero” nasconde in se il germe di una scelta, e notoriamente sulle spiagge del belpaese l’ultima seria scelta compiuta dagli italiani risale al referendum per la Monarchia o la Repubblica. Da allora fu tutto un ruotare intorno a “blockbuster” di varia foggia: dalla ragazza che accavalla le gambe con l’aria annoiata sul muretto dello stabilimento balneare, al caso piccioni, a nilla pizzi, fino al delitto di cogne e ai tormentoni prefabbricati di oggi.

E la “menti finissime” (per usare una espressione tornata di moda) degli influenti di internet cosa fanno? Scrivono del pulcino pio, proprio come sto facendo in questo momento, con la debolissima attenuante che questa sarebbe proprio una rubrica sui trend nel mondo dei media.

D’altro canto non si può non concludere che se il pennuto canterino ha conquistato il dominio indiscusso di tutte le conversazioni, da quelle più becere a quelle più dotte, il motivo è da individuare non solo nel persistente strapotere della cultura broadcast nel nostro paese, ma della sostanziale inesistenza di una vera e propria cultura digitale.

Ove per “cultura digitale”, s’intende un movimento di persone e contenuti che – ora che non ci sono più scuse, per via di questa cosuccia che risulta ancora ridicolmente “nuova”, il web – almeno mostri un vagito di indipendenza rispetto a chi decide di cosa parlare, cosa vedere e cosa ascoltare. Ci sarà un motivo per cui in Italia il successo televisivo dipende in primissima battuta dall’ordine in cui si trovano i canali sul telecomando, mentre negli USA puoi trovare “Revision3” o “On Networks” nella prima pagina del decoder della cable TV. Ci sarà una ragione se nel mondo anglosassone, ogni anno, il giro d’affari della musica indie sottrae vere quote di mercato alla musica delle major, alle prese coi crescenti costi del marketing tradizionale. Inutile dire che da noi, quando un gruppo si qualifica come “indie”, nella maggior parte dei casi è un banale trucco per celare un tale vuoto pneumatico di creatività da farci presto rimpiangere la professionalità di un Tiziano Ferro.

Ci sarà, insomma, un motivo per cui gli italiani sembrano non sapere cosa farsene, di internet, se non una cassa di risonanza per l’eterno chiacchericcio imposto da giornali, radio e televisione?

Non sono uno dei socioantropologi citati poco fa, quindi non azzardo una risposta. Ma non rinuncio a una di quelle odiose ed affrettate conclusioni “di pancia” che ogni tanto fanno bene alla salute: il motivo, come dimostrano le vicende politiche e sociali degli ultimi anni, è che siamo un popolo di pecoroni. Full stop.

PS: mentre correggevo questo articolo sul treno, e inserivo i link ai video, è inesorabilmente partito a tutto volume, dal mio PC, “il pulcino pio”, scatenando sguardi di evidente riprovazione da praticamente tutti i passeggeri. Sono stati i 5 secondi più lunghi della mia vita.

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Antonio Pavolini lavora da oltre 15 anni nel settore dei media. Dopo una serie di esperienze nella comunicazione istituzionale, prima in agenzia e poi in azienda, dal 2009 si occupa, nell’ambito della funzione Strategy del Gruppo Telecom Italia, dell’analisi degli scenari e dell’elaborazione delle strategie nella Media Industry. Dal 2011, nell’ambito della funzione Innovazione, si occupa di valutare potenziali partnership con start-up impegnate in progetti di creazione e distribuzione di contenuti multimediali. Esperto delle issues del mercato dell’Information & Communication Technology, svolge docenze e collaborazioni in ambito accademico. Dal 2008, in particolare, è membro del Teaching Committee del Master Universitario in Marketing Management (MUMM) della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università “La Sapienza” di Roma”. Ha inoltre condotto trasmissioni radiofoniche come "Conversational“, in onda su Radio Popolare Roma nel 2010-2011, nel corso della quale ha approfondito l’impatto dei social media nell’economia, nella cultura, nella politica e nella vita quotidiana delle persone.

13 COMMENTS

  1. Gli italiani sono pecoroni, quindi lo sei anche tu (e anche chi ha commentato qui sopra)? O volevi dire che lo sono tutti tranne te? Posso ridere?

    Dio mio, se proprio devo avere dei soloni che se la Rete non è fatta a loro immagine e somiglianza gridano alla caduta della civiltà umana, posso almeno averne di nuovi, di quelli che non dicano “gli italiani”, che non usino i soliti epiteti come “pecoroni” e non mettano in piedi la solitissima teoria del complotto per cui appena arriva qualcosa che ci distrae da quella che, se dovessimo ascoltare quelli come te, sarebbe una vita passata solo a preoccuparsi, vuol dire che “qualcuno dall’alto” l’ha decisa per non farci pensare al governo?

    Nota bene che io questo pulcino pio non so nemmeno cosa sia, lo sento adesso per la seconda volta, ma se ha il potere di far incazzare i pomposoni come te allora già mi piace.

  2. grazie luciano e grazie anche a roberto, che se avesse letto meglio il pezzo, nella parte in cui mi consideravo colpevole proprio per il fatto di parlarne anch’io, avrebbe capito che non intendevo “esprimere un opinione su come la maggior parte degli italiani usa la rete”, ma registrare un dato statistico: la maggior parte degli italiani usa la rete così, e anche chi dovrebbe occuparsi di queste cose per mestiere in realtà fa il gioco di qualsiasi tormentone calato dall’alto

  3. ” qualsiasi tormentone calato dall’alto”
    Quindi Radio Globo è calata dall’alto?
    Io ho fatto una piccola ricerca ma Io non sono in grado di capire da chi è comandata radio globo, questa emittente radiofonica privata romana.
    Non capisco se dietro c’è una multinazionale, un partito o un giornale.
    Se scrivi che è calata dall’alto mi verrebbe da pensare che ci sia un partito dietro.
    La mia è una curiosità perché vorrei capire.

  4. La maggior parte degli italiani si può sostituire tranquillamente con la maggior parte di x, dove x è un qualunque altro Paese del mondo. Non è un aspetto solo italiano. Poi a noi sembra che dall’estero arrivino quasi solo belle cose, ma perché quelle come il pulcino pio (che non so tuttora cosa sia, ma nel frattempo ho visto che Allevi ha fatto incazzare un altro perché l’ha suonato, e ‘sto pulcino mi sta sempre più simpatico :D) vengono fermate alla frontiera. Questo tormentone è arrivato anche solo in Francia? Non credo: di solito ogni Paese ha il suo tormentone estivo e non usa quelli degli altri. Ecco, per dire, a me piacerebbe molto meno se il pulcino l’avessero inventato all’estero e noi ci fossimo agganciati a traino.

    Per il resto credo di poter dire con abbastanza tranquillità che pio non farà scendere il Q.I. medio italiano di nemmeno una frazione di punto. Penso di poter anche dire che più si andrà avanti col tempo e più dal tuo punto di vista sarà peggio, perché è ovvio che quando su Internet c’erano solo come minimo studenti universitari di materie tecniche i tormentoni (perché c’erano anche allora, ma questo lo saprai anche tu) erano più “cerebrali” (nota che non ho scritto “intelligenti”), mentre adesso che la “gente normale” è arrivata in massa c’è il pulcino pio e più tempo passerà, più il rapporto élite/everyday people diminuirà, ma questo a me non dispiace. Ho conosciuto un sacco di gente interessante sotto altri aspetti, grazie a questo. Se poi mi devo tenere anche pio, va be’, mi terrò pio. Tanto faccio il programmatore da quindici anni, se voglio stare tra l’élite so dove trovarla.

  5. @giangio, per “dall’alto” si intende “da piattaforme chiuse”, in opposizione ai meme che partono da internet, una piattaforma dove chiunque può far partire un tormentone, e non solo chi ha tralicci, edicole, satelliti, rotative ecc. ecc. mi sembrava abbastanza chiaro. sarebbe stato “dall’alto” se fosse partito da qualsiasi radio, o tv, o giornale.
    @robertoorsini – è curiosa questa idea secondo cui l’uso dei media è lo stesso in ogni paese del mondo. forse, invece che di media, avrei dovuto occuparmi per 15 anni di programmazione, e sarei entrato nell’élite di quelli che possono capire questa teoria. scherzi a parte, io non sto affatto dividendo il mondo in “élite” che si nutrono di contenuti di serie A, e gente becera che si nutre del pulcino pio. i tormentoni esistono ovunque, ma il trend dei meme che nascono su internet è molto più sviluppato in paesi come gli stati uniti e il giappone rispetto a noi, dove invece aspettiamo ancora di essere imboccati dal broadcast per poi usare la rete per discutere ciò che il broadcast ha deciso. se lo scrivo, è perchè mi sono documentato, non me lo sono inventato, eh 🙂 dai un’occhiata qui, (http://knowyourmeme.com/) e dimmi se secondo te sarebbe stato possibile raccogliere tanti esempi di meme (tormentoni) nati da internet e discussi dai media tradizionali (e non viceversa, come accade da noi).

  6. Avevo capito male.
    Pensavo che Radio Globo, che non conosce nessuno fuori dal Lazio (direi fuori da Roma, dal momento che si prende poco…) avesse questo grande potere di far nascere tormentoni e di rincojonirci con le loro canzoni.
    Mi accorgo anche di essere stato fuori dal mondo: io il video del pulcino pio lo inviai ai miei amici a maggio per i loro bambini e non ne ho più sentito parlare, tranne l’altra sera al tg, e oggi scopro che è il meme dell’anno… Incredibile!
    Complimenti a Radio Globo.

  7. Ci siamo capiti male, o forse mi sono solo spiegato male io.
    Non metto in discussione che negli Stati Uniti (in Giappone non so) la creazione di memi sia molto, molto più sviluppata che in Italia, o perlomeno sono memi che raggiungono un raggio più ampio. Dicevo che in qualunque Paese la maggior parte degli utenti si nutre soprattutto di contenuti calati dall’alto. Possiamo dire quello che ci pare sulla morte ormai prossima delle major, ma per ora anche gli americani parlano in gran parte di quello che passa in tv (dove vedo io soprattutto di talk show a sfondo politico), della loro musica e dei loro musicisti preferiti (e non si tratta di musica di artisti che si sono fatti strada in Rete), dei film che passano, eccetera. Basta guardare quante view hanno i video musicali “ufficiali” su Youtube e quanti follower hanno le celebrity su Twitter per rendersene conto.

    Poi sì, visto il grande numero di utenti “smaliziati” che hanno in confronto a noi e vista la quantità molto maggiore di siti in cui di solito questi memi nascono, creano anche un’enorme quantità di memi, ma credo sia anche perché la lingua inglese è molto più diffusa. Oltretutto, io non posso sapere se chi si cela dietro a un’identità su Reddit, 4chan o similari è americano o no. Se un italiano crea un meme su 4chan scrivendo (ovviamente) in inglese, quello è un meme americano o italiano?

  8. l’incidenza dell’anonimato è un fattore di distorsione, ma non cambia i grandi numeri. che dicono una cosa: è vero che ovunque la maggior parte delle cose di cui si parla in rete parte da major e broadcasters. ma esiste una alternativa, che progressivamente sottrae eyeballs ai contenuti mainstream. da noi, questa alternativa, non ha nemmeno la dignità di un canale televisivo (non a caso ho fatto l’esempio di revision3) o di un giornale (vogliamo paragonare il post all’huffington post?). il pezzo intendeva dire: siamo indietro, dannatamente indietro. e la colpa è sia “di sistema” (il ruolo anche politico del broadcast negli ultimi 20 anni) sia culturale (la nostra tendenza ad abbeverarci di qualsiasi cosa passino i soliti conventi).

  9. OT: Anch’io non so chi sia il pulcino pio – in Colombia non é arrivato.. So peró che non sono riuscito ad abbonarmi ai post di Antonio: ogni tentativo di attaccarmi all’RSS mi inonda di tutto il contenuto di techeconomy (che é troppo anche per un avido lettore come me)…
    Ce faccio ad abbonarmi “solo” a UMT? Saluti!

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