Agenda Digitale Italiana: il punto di vista di C.A. Carnevale Maffè

Carlo Alberto Carnevale Maffè è Docente Senior di Strategia Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale dell'Università Bocconi

Continuano i nostri approfondimenti sul tema dell’Agenda Digitale. Dopo quella a Cristoforo Morandini e a Ernesto Belisario, questa intervista di approfondimento è fatta a Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi.

1) Che cosa è previsto, in sintesi, nel documento dell’Agenda Digitale?

Più che un‘Agenda, ovvero un insieme articolato di impegni, è una rassegna di “Minima Moralia” digitali. Per l’implicita repulsione verso qualsiasi forma di sistematizzazione, infatti, sembra scritta da Theodor Adorno, che però aveva uno stile più arguto. La cosa più importante, quindi, non è nel merito degli interventi previsti, ma nelle disposizioni degli articoli 3 e 4: ovvero nel fatto che per la prima volta s’includono negli impegni di Governo e Parlamento l’aggiornamento annuale dell’Agenda Digitale e il suo allineamento con le politiche europee. L’Agenda Digitale non è una concessione alla moda, ma un impegno permanente nei processi di governo della cosa pubblica e una condizione essenziale di funzionamento dell’economia. Quindi l’attuale bozza di Agenda Digitale stabilisce che dovrà essere predisposta un’Agenda Digitale aggiornata ogni anno. Sperabilmente migliore di questa prima versione. Che, sia chiaro, è utile e contiene molte cose positive, anche se le rimanda alle calende greche dei rispettivi decreti attuativi e non fa tesoro di molto lavoro già fatto a livello europeo e internazionale, che sarebbe bastato adottare e adattare.

2) In sostanza: cosa cambia rispetto ad oggi?

Il formato. Ma non i processi. Quest’Agenda Digitale è una specie di “versione PDF” di molte attività cartacee e analogiche della PA. Non ne cambia il flusso e la logica, e quindi non sfrutta il potenziale di efficienza introdotto dall’ICT. L’assunto dal quale si muove il Governo è che il digitale è un nuovo “formato”, non un nuovo modello di processi. Quindi si limita a prescrivere una (addizionale) versione digitale delle stesse attività analogiche già oggi previste. Ancor più gravemente, non prevede un chiaro principio di sostituzione, uno “switch-off” come quello imposto con la transizione dalla TV analogica al DTT. Il digitale invece non solo deve essere il “default”, ovvero l’opzione base, di ogni attività della pubblica amministrazione, e in molti casi può essere anche l’unica opzione prevista. L’analogico deve avere l’onere della prova. Chi non usa Internet emette CO2 organizzativo, e avvelena tutta l’economia con la propria inefficienza. Questo principio è già contenuto nella versione dell’Agenda Digitale approvata in modo bipartisan in sede di Commissione Parlamentare. E’ inspiegabile – e istituzionalmente censurabile- che il Governo l’abbia ignorato.

3) Che cosa avrebbe dovuto esserci, ma non c’è?

Non sono tra quelli che si aspettano dai Governi di turno alcun “Grande Disegno Strategico”. Quindi non posso che constatarne con soddisfazione la totale assenza. Invece avrebbe dovuto esserci, nel momento più acuto della crisi fiscale dello Stato, l’esposizione di un semplice principio: l’Agenda Digitale è la più importante leva a costo zero oggi disponibile a un Governo per l’aumento della produttività del lavoro e del capitale, siano essi pubblici o privati. L’adozione –se necessario forzosa- di processi digitali sostitutivi di quelli analogici è la maggiore “esternalità positiva” che possa essere oggi creata dalle leggi. E non richiede necessariamente investimenti pubblici, ma solo una lucida consapevolezza del potere immenso della regolamentazione nel garantire il raggiungimento di masse critiche di domanda e/o l’adozione di criteri di standardizzazione e interoperabilità, tali da attirare investimenti privati.

Lo Stato crei le condizioni sul lato della domanda, rendendo contendibili e sostituibili tramite nuovi processi digitali almeno 500 miliardi/anno di spesa pubblica: per la scuola, per il welfare, per la sanità e per il lavoro. Solo così si faranno rapidamente avanti le imprese, siano esse start-up o grandi aziende internazionali, nel fare investimenti e portare innovazione. E con esse lavoro e crescita sostenibile, non drogata da nuovo debito pubblico.

4) Mancano ancora pochissimi giorni alla presentazione ufficiale del documento. Se potesse suggerire la famosa “modificha dell’ultimo minuto”, ci sarebbe qualcosa di utile da aggiungere, o da togliere? e se si, cosa?

Un solo, semplice articolo: “L’Agenzia per l’Italia Digitale ha il compito di aumentare in modo misurabile la produttività totale dei fattori utilizzati nella spesa pubblica, ridisegnando i relativi processi e se opportuno sostituendo le risorse impiegate, ivi inclusi tutti i livelli di personale”.

La parola “produttività” non è neppure citata nell’attuale bozza di documento. L’odierna priorità di un’Agenda Digitale, invece, è proprio sostituire lavori poco efficienti con processi innovativi ad alta produttività. Senza questa logica, l’Agenda Digitale rischia di essere una lista di costi aggiuntivi, senza generare costi cessanti. Anche in strutture e personale. Con l’avvento del digitale, una gran parte della Pubblica Amministrazione non va resa più efficiente. Va resa inutile. Rimpiazzata da processi digitali standardizzati. E’ questa la vera, strutturale “spending review” che un Governo responsabile deve impegnarsi a fare.

5) Se dovesse sintetizzare il risultato del lavoro fatto in seno all’ADI in un Tweet, che tweet ne uscirebbe?

#megliotardichemai #bastavacopiare #sapevatelo

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1 COMMENT

  1. Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, proverò senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’è solo una cosa di cui vorrei parlare più approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.

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