Agenda Digitale: 10 punti (o meglio nove elementi ed un dubbio) per chiederci se sia il momento…

Supponiamo, per un attimo, di non averne visto le bozze. Supponiamo di non sapere se il risultato del lavoro dei componenti della Cabina di Regia sarà ottimo o pessimo, o se si collocherà in un punto qualsiasi tra questi due estremi. Supponiamo di non sapere che i Ministri Passera e Profumo stanno giocando al gioco della coperta corta, nel quale con risorse sempre più strette vorrebbero coprire una quantità di problemi sempre più vasta. Supponiamo insomma di non sapere nulla circa la struttura, la composizione, gli obiettivi del documento sull’Agenda Digitale la cui presentazione, di settimana in settimana, si sposta ormai da mesi.

Ciò supposto, cerchiamo di condividere una definizione del concetto di Agenda. Un’Agenda – digitale o meno che sia – è un documento nel quale identificare delle priorità strategiche per il paese su un dato tema. Un documento che, fissati degli obiettivi e definita una vision, definisca delle azioni da compiere per raggiungere gli obiettivi nel rispetto della vision. Nello specifico, l’Agenda Digitale va a definire le linee strategiche del processo di sviluppo del digitale nel nostro Paese.

Un paio di considerazioni…

Se quanto detto è vero, ne conseguono due semplici considerazioni:

  1. L’Agenda digitale ha un grande ruolo nel definire lo sviluppo del Paese. E su questa considerazione immagino sia inutile soffermarsi più di tanto. È indubitabile che il digitale rappresenti oggi uno strumento di competitività. E questo è tanto più vero quanto più si condivide il fatto che l’Agenda Digitale riguarda non solo il settore dell’IT, ma qualsiasi settore, ambito o comparto. L’idea è che, in un Paese digitale, tutte le attività economiche si avvantaggino di ciò che il digitale offre. E per contro, in un paese in cui il digitale manca, tutte le aziende patiscono il costo di tale mancanza.
  2. L’Agenda digitale ha una forte rilevanza politica. Influenzando lo sviluppo del Paese, l’Agenda Digitale influenza la politica (quella buona, se c’è ancora), e da essa è influenzata. In altri termini, da sempre nel ruolo delle infrastrutture, della politica industriale, delle scelte di sviluppo la politica entra e non può che essere parte attiva. Decidere che in Sardegna si debba investire in miniere di carbone ed in impianti industriali piuttosto che in turismo non è frutto del caso, o di una scelta tecnica. È il risultato di una scelta politica. Dissennata e miope, ma politica.


Due dati di fatto…

Fatte queste considerazioni, andiamo avanti nel nostro ragionamento con due dati di fatto che riguardano la situazione del nostro Paese in tema di digitale:

  • Per quanto riguarda il passato. Negli ultimi decenni la stessa politica dissennata che ha prodotto i dissesti che ora stiamo tutti pagando ha generato un divario digitale derivante dalla mancanza di infrastrutture e da un gap culturale che ci vorranno anni a colmare. La responsabilità di tutto ciò è decisamente “policroma”, nel senso che gli errori – intenzionali o meno – sono stati fatti tanto a destra che a sinistra. Certo è che gli elementi di questo divario sono ben noti e le soluzioni inopinabili. Serve banda larga, servono formazione e cultura, servono investimenti sul digitale da parte dello Stato, per colmare un buco che nel tempo è diventato una voragine.
  • Per quanto riguarda il futuro. La definizione di linee strategiche di sviluppo rispetto al digitale influenzerà lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese per i decenni a venire. E queste linee strategiche non possono che essere il frutto di una visione politica del futuro del Paese. Sbagliare direzione ora vorrà dire ritrovarsi, tra quale anno, in una versione digitale del dramma dell’Alcoa. Una sorta di Alcoa 2.0 per intenderci.


Due elementi da non sottovalutare…

A tutto ciò aggiungiamoci un po’ di ingredienti sparsi su tempi e soldi.

  • Tempi. Sono ormai oltre otto mesi che dei “provvedimenti urgenti sul digitale” (!!!) non c’è traccia. Il Governo fa slittare di settimana in settimana la presentazione del Provvedimento. Ora il Presidente del Consiglio all’ONU, ora il Ministro in Brasile, ora l’altro all’Aspen. E se ne va un mese. E poi un altro. E un altro ancora. Ma o questi ministri sono così impegnati da non aver tempo per governare oppure non devono dare troppa importanza, chiacchiere e propaganda a parte, a questo tema di governo. Oppure i problemi che ci sono e che bloccano la presentazione del tanto agognato Digitalia sono altri. Sta di fatto che, se tutto va bene, la pubblicazione della legge di conversione non si vedrà prima di Gennaio. Ossia in piena campagna elettorale, con tutto ciò che ne consegue.
  • Soldi. Ad oggi, pare proprio che non ce ne siano. E l’effetto coperta corta è evidente e drammatico. E se già inizialmente i fondi ipotizzati sembravano pochi per risolvere i problemi reali del Paese in tema di digitale, oggi comincia a sembrare francamente ridicolo anche solo citare le cifre. Tanto per dare un’idea: ci sono meno soldi sul Digitalia di quanti ne stiano offrendo i Russi a Berlusconi per Villa Certosa (e, ironia della sorte, pare che i russi siano imprenditori della New Economy).

Due interrogativi…

Tutto ciò considerato, due interrogativi penso siano almeno leciti…

  • Se l’Agenda Digitale serve a colmare il divario accumulato negli anni dal nostro Paese in tema di infrastrutture e digital divide, siamo proprio sicuri che servivano otto mesi di discussioni e tavoli di lavoro che hanno coinvolto esperti di indubbia competenza? Non bastava, già otto mesi fa, sviluppare (o riprendere) un piano per la banda larga ed identificare con rapidità ed efficienza gli elementi di maggiore criticità per cercare di essere più veloci possibile nell’affrontarli, piuttosto che sospendere il tema in un limbo che, quando terminerà, sarà passato un altro anno? Senza considerare che tutto ciò avverrà sotto elezioni, e di conseguenza sarà comunque lettera morta, e ricadrà sulle spalle del prossimo Governo, quale che sia.
  • Se l’Agenda Digitale serve invece a disegnare il futuro digitale del nostro Paese, è giusto che tale futuro venga tracciato senza una seria e consapevole riflessione politica in merito? In altri termini, è opportuno che il decreto Digitalia veda luce alla fine del mandato di un Governo tecnico, vincolando quello successivo? Che Italia vogliamo per i prossimi decenni, e come le tecnologie possono aiutarci ad averla? Per rispondere a questa domanda è necessaria una riflessione politica.

…e un dubbio finale

Insomma, il dubbio è che se l’Agenda Digitale fosse dovuta servire per colmare il divario digitale accumulato nei decenni dal nostro Paese, allora non sarebbero serviti un’Agenda Digitale ed otto mesi di riflessione. Quello che c’è da fare è sin troppo chiaro. Se invece dovesse servire per disegnare il futuro forse, allora – a pochi mesi dalla fine del mandato del Governo attuale – forse sarebbe opportuno lasciare il campo a quello successivo. Magari concentrandosi in questo scampolo di mandato nell’avviare quelle cose per le quali un’Agenda Digitale proprio non serve. Servono, invece, stanziamenti ed azioni concrete.

Altrimenti, visto che questa riflessione è iniziata con delle supposizioni, dovendola chiudere con un’ultima supposizione non potremmo che supporre che l’Agenda Digitale non abbia rappresentato altro che non un’arma di distrazione di massa usata da tecnici prestati alla politica, ma che di un certo tipo di politica hanno capito davvero bene le tecniche.

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2 COMMENTS

  1. In tutto cio’, il TELELAVORO poco viene considerato quale, risorsa economica…………..ma perchè? Telelavoro nelle pubbliche ammiinistrazioni

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