La rete, il Klout, gli influencer e il paradosso di Eugenio Scalfari

Siccome è l’argomento della settimana, è evidente che anche qua devo parlarvi del klout, o meglio di questa cosa uscita su Repubblica, e poi ripresa e spiegata dal Giornale, che Casaleggio, eminenza grigia di Grillo, avrebbe deciso di selezionare una decina di potentissimi
“influencer” della rete per fare una massiccia campagna web elettorale pro Movimento 5 Cinque Stelle. Il gruppo dei 10, informava solerte Repubblica, era stato scelto fra coloro che su internet hanno un klout superiore o pari a 75, il che garantiva loro di poter influenzare almeno un milione di persone con ogni loro tweet.

Apriti cielo! In rete, per due giorni, e poi di rimbalzo sui giornali, è stato un diluvio di post ed articoli, volti a spiegare che Repubblica aveva preso un granchio grosso come una casa, che il klout è poco più di un gioco di società e ti si alza o ti si abbassa in base a quanti ti retwittano, sì, ma pure se ti retwittano per dirti “Sei un cretino”, e soprattutto che la traduzione più logica e corretta del termine “influencer” non è “colui che influenza” a prescindere, ma solo “uno che ha molto seguito perché lo leggono in molti”, e questo non vuol dire però che prendano per oro colato quello che scrive, o che basti un suo tweet per ribaltare le sorti della Nazione.

Dal mio personale punto di vista (non so se valido, ho un klout fermo a 69), la polemica sul klout e gli influencer è l’ennesima prova, semmai ve ne fosse, di quanto poco in Italia si sa e si conosce del web. Non tanto perché scambiare il klout per un parametro assoluto misurante il “peso” di una persona su internet è di una ingenuità devastante, ma perché un po’ tutti, anche i giornalisti meno ingenui che hanno scritto sulla vicenda, sono caduti in un equivoco di fondo, e hanno descritto, come spesso capita, il “modo del web” come se si trattasse di una realtà parallela con regole proprie, diversissime da quelle in vigore nella società reale. Solo avendo una visione del genere, infatti, si può pensare che sulla rete esistano questi mitici “influencer”, in grado di far cambiare idea a milioni di seguaci con qualche raffica di battute di 140 caratteri. Chi ha abboccato a questa balla, anche per un solo minuto, dimostra di non sapere una cippa di come funziona il web, ok, ma anche di sapere poco di come funzionano da sempre le campagne elettorali, le campagne pubblicitarie e il mondo in generale.

L’influencer in rete, infatti, quando venga reclutato per campagne pubblicitarie di ogni tipo, dalla politica al lancio di un nuovo modello di aspirapolvere, viene scelto esattamente come ogni altro tipo di “testimonial”: ha un suo pubblico perché, sul web, è famoso, ma il suo pubblico è costituito da gente che già lo considera simpatico o intelligente, per via di quello che scrive o per via di quello che è o appare essere. I testimonial delle campagne pubblicitarie vengono scelti così, perché hanno già un loro “bacino di utenti”; fuori di quel segmento di pubblico sono spesso sconosciuti, o poco noti, o del tutto ininfluenti, o addirittura odiati. Gli Influencer funzionano nella stessa maniera: sono testimonial forti nel loro segmento di mercato, e fuori da esso possono contare un tondissimo zero. Madonna che invita a votare Obama influenza, in America, il pubblico neutro ma già tendenzialmente non ostile ad Obama che compra o ha simpatia per Madonna: tutti gli altri non solo se ne fregano dell’appello di Madama Ciccone, ma probabilmente ne rimangono anche infastiditi e iniziano ad odiare ancora di più la cantante.

L’influencer sul web può avere la medesima influenza, nel piccolo. Se scrive di votare per Grillo, influenzerà, fra i suoi, quelli che magari fino ad oggi sono stati tiepidi verso Grillo, ma non contrari. L’influencer, in pratica, non influenza granché: ha solo la capacità, spesso, di rinvigorire idee che il suo pubblico aveva già.

A Repubblica, peraltro, il fenomeno dovrebbe essere ben noto, se non ci fosse quel piccolo difetto di base di considerare ciò che accade sul web un evento rispondente a regole tutte sue. Esiste infatti da anni, proprio lì, nella loro redazione, un influencer potentissimo, uno che se dovessero misurargli il klout arriverebbe a cifre di tre numeri, per dire. Si chiama Eugenio Scalfari. Per anni Scalfari ha sfornato editoriali e dato endorsement a vari politici, che di volta in volta identificava come nuove stelle del firmamento politico destinati a riformare e traghettare l’Italia verso un luminoso futuro di successi. A differenza degli influencer su internet, apparentemente Scalfari era molto più seguito ed amato dal suo pubblico di lettori, perché gli influencer del web scrivono gratis, e per leggere gli articoli di Scalfari, invece, il pubblico pagava.

Eppure, guardiamoci negli occhi: vi risulta che Scalfari sia mai riuscito una volta a far piovere sul suo prescelto di turno la caterva di voti che ci si doveva aspettare mietesse, guardando i numeri e le vendite del giornale? No. Il fenomeno è così noto negli ambienti politici, che ormai è invalso il detto che l’abbraccio di Scalfari è mortale: se un politico scopre di aver ricevuto un endorsement più o meno esplicito da lui, comincia a toccare ferro. Questo perché il pubblico è una bestia strana: persino quando paga per leggere le opinioni di qualche potente influencer, le legge ma poi fa un po’ anche di testa sua. Sul web come fuori dal web. Quindi tranquilli, non sarà il klout e non saranno gli influencer del web la chiave di volta della prossima campagna elettorale.

Tornate pure a leggere l’ultimo editoriale di Scalfari, dài.

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2 COMMENTS

  1. Sono d’accordo ovviamente e sorrido per tutto il can can montato. Bisogna comunque avere equilibrio e molta ironia e autoironia per sottrarsi a tutto ciò. io ultrasessantenne mi sono sempre sottratta a iscrizione su facebbok o twitter, da quando sono in pensione da insegnante mi sono iscritta su twitter.Ho pochi followers ma non me ne può fregar di meno, mi diverto, mi confronto, mi documento ma non ne faccio l’unica ragione della mia vita.Non saprò stare sul web ma non mi interessa. L’unica cosa che un pò mi dà fastidio è la mancanza di risposte dei politici o giornalisti a domande mirate (ma forse sono presuntuosa e penso che le mie domande siano “intelligenti e in realtà non lo sono). Io cerco sempre di rispondere anche a chi ha idee diverse dalle mie ma forse dipende dal fatto che io ho 300 followers e non (come sbandierato) 100.000 o più. Grazie.

  2. premesso che paoladelusa è più influencer di quanto crede: sono venuto qui da un suo tw ;-P

    concordo sul fatto che quando si parla di rete vengono dette delle corbellerie immani ma credo che tu abbia semplificato eccessivamente la questione:

    1- dire che il klout è poco più di un gioco di società mi pare, con le debite proporzioni, come affermare che lo sono anche l’impact factor e l’H-index delle peer reviewed. certo, contano anche gli insulti e le prese in giro (si potrebbe fare un caso studio su flavia vento), ma nello specifico si tratta solo di indicare la ‘credibilità’ dei soggetti.

    2- non concordo sul paragone testimonial-influencer in quanto, mentre il primo è palese, il secondo è occulto e si pone come soggetto terzo quando in realtà non lo è. e, per come sono strutturate le dinamiche sociali all’interno della rete, l’influenza di un ‘consiglio fidato’ è pari a quello del passaparola. inoltre non è certo un singolo tw dell’influencer di turno ad essere decisivo, ma piuttosto si tratta di operazioni di lungo termine volte a creare un clima di ‘recettibilità’ a determinati messaggi (nulla di nuovo, lo teorizzava bernaise negli anni 40-50)

    3- fatte rare eccezioni non si acquista un quotidiano per sapere che linea seguire ma, piuttosto per ricevere notizie, per abitudine e, nei casi estremi, per affezione

    scusa se non argomento in modo esteso ma scrivo in pausa pranzo

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