Veronica Diquattro: Spotify piace agli utenti e aiuta le etichette a scoprirne i gusti (e monetizzare)

Veronica Diquattro è responsabile del mercato italiano di Spotify

Tutti pazzi per Spotify. Non è uno slogan, né uno dei titoli di cui il giornalismo fa ampio (ab)uso. E’ la verità, piuttosto.

Il servizio di musica on demand in streaming, nato nel 2008  a Stoccolma per mano di Daniel Ek e Martin Lorentzon e arrivato in Italia il 12 febbraio, è stato accolto con grande entusiasmo. “I numeri stanno superando le aspettative – commenta Veronica Diquattro, responsabile del mercato italiano – Avevamo creato un po’ di base prima del lancio, ma ci siamo confrontati con un’attesa pazzesca: il 12 eravamo tra i trend topic di Twitter, tra le 5 app più scaricate e nell’arco di 24 ore sono state trasmesse un milione e mezzo di canzoni in streaming”.

Dalla postazione sanremese di Spotify, dove molti artisti hanno fatto una dedica cantata al servizio (guardateli, meritano), la Diquattro racconta entusiasta il progetto.

Caratteristiche principali.

Un archivio di 20 milioni di canzoni con una funzione di ricerca che può  essere effettuata per anno di pubblicazione, per artista, per nome dell’album. Estrema integrazione social, con Twitter, Facebook, blog e altro. Per quanto riguarda Fb, l’integrazione consente anche di visualizzare, nella barra laterale, cosa stanno ascoltando i propri amici. Si possono condividere canzoni o playlist, o inviarle attraverso il sistema di inbox.
Poi  ci sono  funzioni  che arriveranno pian piano in Italia, come “follow”. Se si prendono in considerazione gli artisti, per esempio, è la funzione che permetterà di seguire i loro profili personali, vedere cosa ascoltano, che playlist creano. Un profilo in più rispetto a quello ufficiale legato alla loro discografia.

Beh, ma non è rischioso? Un artista potrebbe aprirsi un account e poi non essere attivo. Mica una bella figura.

Innanzitutto sono loro a decidere se attivarlo o meno, e poi non è obbligatorio lo share dei propri movimenti. Basta che impostino “private” su quello che ascoltano.
All’estero vanno molto bene Shakira, Bruno Mars, gli One Direction, ma anche Obama!

Avete trovato resistenze in Italia?

No, artisti ed etichette si sono hanno mostrato un grande entusiasmo.

Uh, si son destati!

Nel tempo si sono illuminati e hanno la consapevolezza che questo sistema aggiunge un canale di monetizzazione legale incredibile. Sposta una fetta di streaming illegale con un prodotto di qualità del suono molto alto.
Diventa anche un ottimo modo per capire dove vanno i gusti delle persone, con un sistema di reportistica che aiuta loro a capire quale artista spingere, per esempio.

Tutti dati che immagino vengano pagati.

Fa parte dell’accordo contrattuale con ogni singola etichetta.

Hanno aderito tutte?

Abbiamo siglato accordi con le quattro principali (Sony, Warner, Universal e Emi, ndr), con Merlin e altre etichette indipendenti tra cui Made in Etaly, Sugar e Pirames International.

E la Siae che dice?

E’ molto supportive!

Insomma, con il tempo anche il Belpaese ha capito tante cose.

Sai, nel 2008, quando è nato Spotify,  c’erano basi diverse. Adesso è un modello di business, ci sono 20 milioni di utenti attivi e 5 milioni di iscritti che lo usano pagando.

Dal 2008 al 2012 abbiamo dato 500milioni di dollari ai  titolari dei diritti d’autore e il fondatore ha annunciato che per il 2013 ci aspettiamo di pagare la stessa entità di diritti, ma in un solo anno.

Una bella cifra… come fa a restare in piedi un servizio del genere, nonostante queste uscite?

La versione free ha annunci pubblicitari, quindi è supportata da quello. Poi ci sono gli abbonamenti. Inoltre, il focus dell’azienda è investire e crescere, crescere e investire.

Come si convincono le persone a fare a meno del possesso di un brano, o album?

Uno dei punti principali da capire. Non si parla più di possesso, ma di accesso. Attenzione però, perché è l’accesso a ciò che esiste oggi, ma anche a tutto quello che verrà aggiunto domani. Con la versione premium poi, c’è la possibilità di accedere al brano anche  offline.
Non solo:  si può anche usare spotify proprio per ascoltare e poi andare a comprare le cose che più convincono, o che si vogliono avere a tutti i costi. E’ l’atteggiamento che hanno conservato molti adesso nei confronti del vinile, a pensarci. Un esempio chiaro di questo è l’aumento di vendita del disco dei Mumford and Sons collegato proprio allo streaming.

Che percorso professionale l’ha fatta approdare a Spotify?

Prima ero in Google. Sono stata a Dublino 2 ani e mezzo come responsabile del mercato italiano di Google Play, mi sono occupata per Android Market di  vari lanci tra cui Book e Music, appunto. Prima, sempre per Google, mi ero occupata dell’online advertising. In precedenza avevo lavorato in Sud america per una catena alberghiera, sempre nel settore onilne.

Crede che l’it sia un terreno sgombro da differenze di genere?

Ho sempre avuto la fortuna di lavorare in ambienti internazionali  e di non sentirla affatto, sia in  Google che  in Spotify.

Figuriamoci, loro poi sono svedesi!

Infatti, le differenze non si sentono perché non esistono. Qui in Italia devo ammettere che appena mi sposto in altri settori, già cambiano le dinamiche. Unendo però il mio lavoro settore digital con settore musicale, ho la fortuna di lavorare in un ambiente dinamico e giovane.

Cos’è questa storia dell’aperitivo?

Eheh, mi diverto a far notare che il più costoso dei nostri abbonamenti (Free, Unlimited da 4.99 al mese senza pubblicità, e Premium, da 9.99 al mese, ndr) ha il prezzo di un aperitivo al mese. Con quella cifra il Premium consente di avere la musica su supporto mobile anche offline. E’ un nuovo modo di approcciare la musica in modo nuovo, con un processo di scoperta che diventa una droga!

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