Decalogo (in nove punti) su quello che succede al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia

  1.  Il Festival del Giornalismo di Perugia è un po’ come il Festival del Cinema a Venezia: gente che va, gente che viene, in genere nel senso di marcia opposto al tuo, perché il problema del Festival del Giornalismo non sono i troll, ma i trolley, che tutti si trascinano dietro, in partenza o in arrivo. Siccome chiunque sia qualcuno è lì che passa, e l’effetto Grand Hotel è evidente, tu che non sei nessuno ti senti almeno un tantino Greta Garbo lo stesso.
  2. E’ una cosa che ti fa rimpiangere di non avere il dono dell’ubiquità, perché in meno di 200 metri (Perugia è tutta lì, in pratica), ci sono in contemporanea sempre almeno tre panel che vorresti ascoltare. Non ce la fai e ti senti in colpa. C’è il mondo del giornalismo, tutto, a Perugia, in quei duecento metri: i giornalisti internazionali, quelli italiani famosi, e tanti, tantissimi giornalisti nostrani e non famosi, e anche piuttosto giovani, ma bravissimi. L’unica differenza con i colleghi stranieri è, di solito, che quelli nostrani, bravissimi e giovani – che però si smazzano panel con l’abilità di consumati professionisti – sono quasi tutti precari o free lance, pagati magari pochi euro al pezzo nei giornaloni ufficiali. E su questo bisognerebbe riflettere, magari non al Festival Internazionale del Giornalismo una volta l’anno, ma tutto il resto dell’anno, e trovare qualche soluzione.
  3. Perugia è bella. Ed è il posto più scomodo del mondo da raggiungere; in pratica battuto solo da Riva del Garda, dove di solito facevano la Blogfest: ci deve essere una legge del contrappasso per la rete, per cui per tutto l’anno te ne stai comodo dietro al tuo pc a casa, in poltrona, ma quando devi incontrare gli altri blogger ti costringono ad andare in luoghi assolutamente fuori mano, che prevedono almeno due cambi di treno ed una arrampicata a dorso di mulo per sentieri impraticabili persino dagli sherpa tibetani. Comunque è bellissima, una meraviglia, eh.
  4. I cartoncini per gli accrediti di ospiti speaker del festival sono un figata pazzesca. Se hai quello azzurro da speaker, capisci cosa vuol dire essere vip sul serio: per esempio, alla coda per le cuffie per la traduzione dei panel con ospiti stranieri, la signorina ti cazzia perché non ce ne sono per tutti, ma poi guarda il cartellino e dice: «Ah, ma lei è speaker, allora aspetti gnene trovo una!» Sono inoltre utilissimi se incroci un qualche giornalista vip sul serio, che naturalmente sta vagando anche lui con il trolley, come te, e per le callette etrusche di Perugia ciò rappresenta un problema, dato che fai fatica ad incrociarti persino se sei a piedi da solo, figuriamoci con una valigia al seguito. Al che il giornalista vip, che vede te sconosciuto ad intralciargli la via mentre lui sta correndo a fare il suo fondamentale discorso sull’avvenire della informazione, ti guarda truce, con lo sguardo da :«Scostati, brutto microbo!» e ti calpesterebbe passandoti sopra con tutto il trolley. Ma poi nota il cartellino speaker, uguale al suo, che pende al collo, e anche se non ha la più pallida idea di chi tu sia, si rende conto che potresti essere un collega, magari persino un po’ vip, quindi stira sulla faccia un sorriso e, ricordandosi le regole della cavalleria dato che sei pur sempre una donna, ti lascia passare.
  5. I giornalisti si riproducono un sacco, e portano i pargoli più o meno poppanti al Festival del Giornalismo. Ma sono tantissimi. Quindi il prossimo anno sarà bene organizzare un minifestival per loro, con i giornalini in gomma e la conferenza di Topolino sull’avvenire dell’informazione. Che poi, detto tra noi, ho l’impressione che Topolino, Pippo e persino Paperino direbbero che l’Eco di Paperopoli pubblica cose più serie che certi nostri giornali, ma vabbe’.
  6. Arianna Ciccone, la organizzatrice del Festival, è una forza della natura. L’ho vista organizzare volontari, accogliere ospiti, controllare lanci di agenzia, baruffare con sedicenti rivoluzionari. E riesce a fare pure tutto nel medesimo momento. E come la fermi una donna così?
  7. La gente, al Festival, è tanta e va a sentire i panel. E’ venuta a a sentire in massa persino quello dove c’ero io, che presentava un libro di Roberto Ippolito, Ignoranti, sui dati disastrosi del sistema scolastico italiano. Ah, la gente è interessata al sistema scolastico italiano, anche se i media ne parlano poco e male. Vorrebbe persino che funzionasse, da quello che si capisce. In questo paese la gente è strana, eh.
  8. A Perugia ed in Italia esistono ancora i rivoluzionari comunisti filocastristi. Al Festival sono arrivati da Yoani Sanchez, l’ultima sera, per contestarla e cercare di impedirle di parlare. Così, dopo essersi infiltrati nella sala, ed aver cominciato all’improvviso ad urlare slogan antiamericani, mentre il povero Mario Calabresi iniziava l’intervista, un gruppetto si è messo incomprensibilmente a cantare “Bella Ciao” (scatenando in tutti i nipoti di partigiani di sinistra presenti in sala la fortissima voglia di prenderli a calci nel sedere), ed è stato allontanato, mentre altri due o tre sono rimasti dentro, gridando ogni tanto “Viva il Che!” (Anche il Che, a quel punto, dall’aldilà sospetto che sia stato colto dal fortissimo desiderio di prenderli a calci nel sedere); hanno poi tentato di spacciare per domande da fare alla Sanchez delle sorte di proclami di cinque pagine (è noto che il Comunismo ha avuto clamorosi successi in un solo campo: quello della produzione di proclami burocratici di centinaia di fogli). Alla fine l’incontro si è concluso con Arianna Ciccone, Mario Calabresi e la Sanchez che davano prova di grande democrazia e soprattutto di enorme sopportazione (non hanno preso a calci nessuno, infatti), mentre noi del pubblico ci sentivamo come se fossimo capitati in un episodio inedito di Ritorno al futuro, con la Delorian di Doc finita nel periodo più idiota delle contestazioni anni ’70.
  9. Il Festival è una fatica mostruosa. Dopo due giorni sono distrutta. per cui, anche se di solito si fanno dei decaloghi, io mi fermo a nove punti, stavolta. E ora vado a dormire. Ciao.

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