La rete, la Boldrini e la percezione dell’ ”anarchia”

Apriti cielo, da giorni il web ed altrove è pieno di commenti, lettere e risposte all’uscita – non propriamente felice, e cercherò di spiegare perché – del Presidente della Camera Boldrini, che in una intervista a Repubblica pareva auspicare una legislazione più restrittiva per il web.

Laura BoldriniCosa è successo all’onorevole Boldrini? Che, una volta eletta a Presidente della Camera, è stata oggetto di una serie di “attenzioni” piuttosto pesanti da parte di gentaglia (non trovo altro modo per definirla, anzi, sì, lo troverei, ma non posso usare parolacce) che tramite mail o facendo girare in rete fotomontaggi violenti, sono giunti a minacciarla, augurandole di venire violentata o di essere uccisa.

E’ accettabile tutto ciò? No, ovviamente. Queste persone che hanno minacciato per mail o tramite post diffusi sulla rete o nei social l’onorevole Boldrini hanno commesso – ne siano consapevoli o meno – dei reati: minacciare, insultare e diffamare una persona sono reati, a prescindere che si commettano tramite web o che si perpetrino tramite i vecchi mezzi non digitali (la posta, i volantini, gli articoli di giornale). In questo specifico caso, probabilmente sono reati anche aggravati dal razzismo (la Boldrini viene attaccata per il suo impegno passato nei confronti dei migranti) e sessismo (la Boldrini è attaccata in maniera schifosa perché è una donna, quindi i distinti gentiluomini le prospettano, come sfregio supremo, quello di venire violentata).

Umanamente posso capire lo sfogo dell’onorevole Boldrini, che si ritrova vittima di una sorta di “stalking” da parte di ignoti sulla rete. Quando si è vittime di rigurgiti di violenza di questo tipo si resta veramente traumatizzati: non c’è nulla ci “virtuale” nella sofferenza di chi si vede improvvisamente oggetto di ingiurie, offese gratuite e menzogne. Non c’è nulla di virtuale nel disagio e nella paura che si prova nel sentire sconosciuti che ti augurano di morire e descrivono anche come ti vorrebbero uccidere: il dubbio che fra tanti che postano ce ne sia uno disposto a mettere in pratica questo suo incubo perverso, poi, rimane. Specie in Italia, dove uccidere donne che si ribellano e pretendono di essere indipendenti è un fenomeno piuttosto diffuso.

La reazione dell’onorevole Boldrini a quello che le sta capitando è dunque comprensibile, condivisibile, giustificata anzi: è però, se mi si passa, una reazione “di pancia” e “da uomo della strada”. Il cittadino normale, infatti, che non ha molta pratica di web e che si trovi ad essere vittima di una qualche forma di persecuzione che sia perpetrata tramite la rete (dallo stalking al cyberbullismo), si sente esattamente come l’onorevole Boldrini: indifeso. Gli sembra che ad oggi non ci sia un modo reale per colpire e fermare efficacemente chi ti sta facendo del male: se denunci la cosa, la denuncia spesso langue per diversi giorni senza che vengano presi provvedimenti immediati; i filmati o le foto, anche se vengono rimosse da una parte, ricompaiono in altri siti, e il “criminale” che ti ha preso di mira sembra che agisca quasi indisturbato e sia inafferrabile.

Viene da chiedersi però, e qui l’onorevole Boldrini che è un politico dovrebbe farsi qualche domanda in più prima di rilasciare interviste e informarsi meglio sulla legislazione attualmente in vigore, se sia un problema di legislazione o non piuttosto un problema di risorse, di cultura e di capacità di attenzione.

censura webL’onorevole Boldrini lamenta di aver dovuto mobilitare due carabinieri in pianta stabile per aiutarla a far fronte a questa “offensiva del web” e da ciò deduce che ci vorrebbe una legislazione più restrittiva, e ad hoc, per fermare e punire questo tipo di cyber reati. Ma in realtà i due Carabinieri che l’hanno aiutata sono riusciti a fermare in parte e certo ad identificare gli autori dei reati usando le leggi vigenti, che prevedono la possibilità di incriminare chi faccia propaganda razzista e sessista sia sulla rete che fuori, adotti comportamenti tipo stalking e commetta diffamazione. Il che vuol dire che le leggi e i mezzi per fermare questo tipo di comportamenti in realtà già ci sono. Quello che manca al cittadino comune, semmai, sono l’attenzione e i mezzi che l’onorevole Boldrini ha potuto mobilitare in poche ore: se lei lo chiede, due Carabinieri (giustamente, è la terza carica dello Stato, ci mancherebbe!) vengono subito assegnati a occuparsi del problema, e senza lesinare mezzi tecnici per venirne a capo; se un cittadino qualsiasi (un adolescente vittima di cyberbullismo, una donna perseguitata da un ex furioso, un qualunque cittadino diffamato da un idiota, etc.) l’intervento, con tutta la buona volontà delle Forze dell’Ordine, è per forza meno incisivo e meno solerte.

Il problema di fondo, quindi, più che una necessaria revisione della legislazione in materia, è quello di trovare il modo di far sì che Forze dell’Ordine possano essere immediatamente incisive in questi casi, anche quando a denunciare molestie, diffamazioni e minacce perpetrate sul web siano comuni cittadini.

Per questo da un lato bisogna intervenire sulla “cultura” della rete, che in questo paese è quasi nulla: molti utenti del web sono davvero convinti, per esempio, in assoluta buona fede, di non rischiare nulla se postano, condividono o mettono in rete materiale razzista, omofobo, sessista, perché pensano, grazie ad una cattiva informazione che lascia intendere vi sia sul web una sostanziale “impunibilità”, che diffondere o produrre materiale di questo tipo sia una sciocchezza, uno scherzo, una cosa molto lieve di cui nessuno verrà mai a chiederti conto. Non sono consapevoli, insomma, che stanno commettendo un reato (e anche grave, nel caso del materiale omofobo o razzista e dell’istigazione alla violenza), o sono comunque conviti che tanto nessuno avrà il tempo materiale e la voglia di venirli a pescare uno ad uno.

Più che inasprire o cambiare la legislazione (che alla fine avrebbe la stessa incidenza delle grida manzoniane), c’è tutto un lavoro da fare anche per consentire al cittadino comune di sentirsi difeso. Per esempio, formando avvocati davvero in grado di essere pronti a difendere la reputazione on line dei propri clienti (esistono, ma per ora i professionisti seri e formati in questo campo sono ancora pochi e limitati alle grandi città), perché spesso l’avvocato “medio” quando il suo cliente si presenta con un problema simile non sa nemmeno di preciso come muoversi per intentare la causa, e in qualche caso nemmeno il magistrato ha una precisa idea di come intervenire. Per esempio dando alle forze di polizia i mezzi tecnici e anche il personale necessari per rispondere in tempo reale alle richieste, contando che sono destinate a crescere nei prossimi anni in maniera esponenziale. Per esempio anche smentendo il pregiudizio ancora diffuso in molti che fare una cosa sulla rete non sia “reale” o non sia tanto grave, per cui l’offesa scritta sulla bacheca di Facebook, il post infamante nei confronti del vicino di casa o del collega, solo perché scritto o diffuso sulla rete non abbia conseguenze o sia meno penalmente rilevante della lettera minatoria o diffamatoria spedita materialmente a casa della vittima di turno.

webLa legislazione in vigore in fondo prevede sanzioni piuttosto dure nei confronti di chi commette reati: si rischiano processi, richieste di danni, perfino, tecnicamente, il carcere, ed è inoltre già possibile vedersi sequestrato il sito. Mancano spesso le risorse per far sì che queste cose previste per legge siano messe in atto, o messe in atto con la velocità dovuta, soprattutto sulla rete, dove la velocità è tutto.

Certo, non si può escludere che in un prossimo futuro tutto il “mondo di internet” debba essere normato meglio e con leggi pensate ad hoc, che tengano conto in maniera più precisa di alcune specifiche del mezzo. Ma forse, più che un intervento “repressivo” come quello invocato dalla Boldrini, ci sarebbe bisogno di interventi chiarificatori, per evitare per esempio che semplici cittadini che tengono un blog possano essere (a torto) equiparati a testate giornalistiche, che chi condivide un articolo di un giornale impreciso possa ritrovarsi equiparato a chi lo ha scritto, oppure che testate giornalistiche vere e proprie possano cercare di evitare sanzioni spacciandosi per blog di non prefessionisti. Bisognerebbe normare in maniera più precisa tutto il mondo delle collaborazioni on line, gratuite o no. Bisognerebbe affrontare molti problemi dei social, e per primo quello della sicurezza e dell’uso che viene fatto dei dati degli utenti da parte di compagnie private, che fanno firmare spesso contratti in cui si arrogano diritti non sempre chiari.

Per cui forse, più che perdere tempo a fare nuove leggi “repressive” sul web in generale, sarebbe prima il caso di trovare i mezzi, il personale e la volontà di far applicare in maniera puntuale e precisa, con la necessaria severità nei confronti di chi sbaglia, le leggi che ci sono già, per una forma di rispetto nei confronti delle vittime, che da tali esperienze possono uscire davvero provate e distrutte. Anche quando le vittime non si chiamano Laura Boldrini.

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1 COMMENT

  1. La signora Boldrini avrebbe fatto miglior figura se, intendendo “confusione”, avesse usato il termine “afasia” più confacente allo Stato cleptocratico nel quale stiamo vivendo.
    Con questa sua banalità semantica ha dimostrato superficialità e smarrimento.
    L’Anarchia è ordine, deputata Boldrini, pertanto colleghi la lingua al cervello, prima di dire delle banalità.

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