Paola Catò: “I servizi di musica streaming aiutano i distributori digitale a vendere il catalogo”

Paola Catò è Business & Marketing manager di Made in Etaly

Viva l’estero, che bello l’estero e abbasso l’Italia, che-qui-non-si-riesce-a-fare-niente. Mica è sempre vero. C’è una società italiana, ma italiana-italiana, che si chiama Made in Etaly ed è nata nel 2007 come distributore digitale di musica.
Adesso si occupa di fornire servizi e fungere da aggregatore di musica e contenuti di intrattenimento (audio e video) in ambito digitale e ampliandosi non solo ha continuato ha rimanere in sede, ma si è anche trovata a fronteggiare le grandi compagnie internazionali. Nel team c’è Paola Catò, Business & Marketing manager.

Avete iniziato in tempi “non sospetti”: come?

Eravamo una realtà unica in Italia, ed è stata fondata da produttori musicali che hanno letto la crisi del comparto come un modo per ricostruire il loro business altrove.

Venite da un anno con grossi risultati.

Abbiamo avuto quattro prodotti nelle prime dieci posizioni della classifica ufficiale annuale download Italia (FIMI/GFK) e tutte e tre le posizioni del podio (Michel Teló “Ai se eu te Pego” e Gusttavo Lima “Balada” di Energy Production, Pulcino Pio “Il pulcino pio” di Do It Yourself/Globo Records).

E poi è arrivata Youtube a dirvi che…?

Siamo un’azienda YouTube Certified” in ambito “Audience Growth”. Un riconoscimento formale alla luce dei risultati raggiunti in termini di sviluppo dell’audience, monetizzazione, multichannel networking e tante altre voci correlate all’uso professionale del mezzo. Abbiamo al nostro interno tre persone, tra le quali me, che hanno seguito un corso e sostenuto un loro esame a Londra.

Secondo che logiche scegliete i vostri prodotti?

Beh, tornando a Youtube è spesso lì che si individuano casi di successo che non hanno la stessa resa a livello di vendite. Noi sono anni che vediamo questo, giusto per fare un esempio, nell’hip hop, e lì investiamo. Capita spesso che siano realtà non molto strutturate. Ma ora è possibile monetizzare.

E il “vestito digitale” va cucito addosso al contenuto stesso.

Esatto. Per l’hip hop per esempio è una questione generazionale. Il pubblico dai 13 ai 17 deve essere traghettato dall’ottica di gratuità a quella a pagamento. In quel caso l’acquisto legale è una forma di supporto, e viene portato a termine proprio per quella ragione. Ma abbiamo distribuito anche Umberto Tozzi: tutt’altro genere. In quel caso, nonostante la grande fama all’estero, la sua presenza web era tutta da costruire., quindi in quel caso la sfida è stata prima intercettare tramite Facebook, poi insegnargli che potevano fruire di determinati contenuti, magari anche extra, attraverso la rete. Una sorta di alfabetizzazione.

I servizi di musica in streaming proliferano: vi sono utili, o li odiate?

Ne siamo contentissimi! Che poi, il primo servizio in Italia fu Playme di Dada, ma i tempi non erano pronti. Tornando ad oggi, noi con Spotify e Deezer collaboriamo da prima che arrivassero in Italia. Sono servizi che remurano tutta la filiera di chi produce musica e a noi aiuta a valorizzare il catalogo, perché favorisce l’esplorazione. Piuttosto che la hit, favorisce la monetizzazione orizzontale.

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