Il giudice Scott Atkinson, della Corte Federale del New Jersey in America, ha recentemente sanzionato il sig. Frank Gatto per aver distrutto elementi di prova nel corso di un procedimento a suo carico. Nulla di strano se non fosse che la condanna è arrivata perché l’elemento di prova in questione era rappresentato dall’account Facebook dell’imputato, disattivato, e quindi cancellato permanentemente, dopo 14 giorni di inattività.
La vicenda nasce da un infortunio occorso al sig. Gatto presso l’aeroporto John F. Kennedy mentre svolgeva la propria attività lavorativa. In seguito all’accaduto l’uomo decide di portare innanzi al giudice la compagnia aerea per la quale lavorava, sostenendo di aver subito, come conseguenza dell’incidente, un’invalidità permanente e la limitazione delle sue attività fisiche e sociali.
La società chiamata a difendersi, per verificare l’effettiva lesione delle attività sociali lamentata dal querelante, richiede subito tutti i documenti e le informazioni relative agli account social gestiti dal sig. Gatto, nonché delle attività di business online come eBay.
In seguito a tale richiesta, e nell’ attesa di poter accedere alla pagina Facebook del sig. Gatto per effettuare le opportune verifiche, l’uomo ha però disattivato l’account senza accedervi per i 14 giorni successivi, provocandone così la definitiva cancellazione.
Chiamato a rispondere di quanto successo, il sig. Gatto si è discolpato affermando che la cancellazione dell’account Facebook fosse stata accidentale e successiva a tentativi di accesso da parte di soggetti non autorizzati. Ma la spiegazione ai giudici non deve essere parsa plausibile.
Infatti, per la Corte l’account Facebook si trovava chiaramente sotto il controllo di Gatto ed era ragionevolmente prevedibile che la prova sarebbe stata rilevante nel corso del giudizio, a maggior ragione perché l’accesso all’account era stato richiesto circa cinque mesi prima.
Pertanto, i giudici decidono di sanzionare Frank Gatto per distruzione di prove, pur risparmiandogli il pagamento delle spese di giudizio; la condotta dell’uomo infatti, anche se volontaria, non era fraudolenta ed era inidonea a provocare ritardi nel procedimento.
Con molta probabilità, gli indizi che i giudici avrebbero potuto raccogliere analizzando la condotta social del sig. Gatto non erano essenziali per la decisione del giudizio. In caso contrario, la Corte avrebbe comunque potuto procedere al recupero dei dati inoltrando una formale richiesta all’azienda di Palo Alto. Alcune informazioni infatti, come previsto dalla policy di Facebook, sono conservate in copie di backup e registri per un massimo di 90 giorni dopo la cancellazione di un account.
Tuttavia quello che emerge dalla vicenda e dalla sanzione che essa ha determinato, evidenzia una realtà sempre meno ignorabile, ovvero che un account social rappresenta una fonte di prova e, di conseguenza, deve essere preservato per non ledere l’esercizio del diritto di difesa.
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