Agcom: Italia indietro sulla rete. Di chi è la colpa?

Si è tenuto ieri a Roma il convegno “La qualita’ dell’accesso ad internet da rete fissa in Italia” organizzato dall’Agcom presso il Cnr. Durante l’evento sono stati presentati i risultati del progetto “MisuraInternet“, un software che consente agli utenti di misurare e certificare la qualità della propria connessione Internet da rete fissa. “MisuraInternet”, infatti, è un software scaricabile gratuitamente da ciascun utente (disponibile anche nella versione semplice “speed test”) che consente, a fronte di una misurazione di ventiquattro ore, di ricevere una certificazione con valore legale riconosciuta dagli Operatori che attesta la qualità reale del proprio accesso ad Internet da rete fissa. I valori riportati sul certificato possono essere utilizzati come elemento probatorio nei casi di reclamo, e successivamente di recesso, nel caso in cui le promesse contrattuali dell’Operatore non corrispondano all’effettivo servizio dell’utente.

CAM00332Come ha sottolineato in apertura dell’incontro il Capo di Gabinetto dell’Agcom Annalisa D’Orazio, l’Autorità garante ha il compito di tutelare gli utenti, e il modo migliore per farlo è fornire loro il maggior numero di informazioni e dati per valutare al meglio le proprie scelte di servizio. “In questo senso – ha spiegato D’Orazio – il progetto MisuraInternet rientra tra i servizi che l’Agcom promuove per aiutare i consumatori”.

I dati emersi dal progetto e diffusi dal Commissario dell’Agcom Maurizio Decina, non sembrano, però, essere molto confortanti: in Italia, infatti, solo lo 0,1 per cento delle linee offre una velocità nominale di navigazione superiore a 30 mega, contro il 14, 8% della media europea, dove tra l’altro il 3,4 per cento delle linee supera addirittura i 100 mega. L’Italia è quindi indietro anche nella velocità media di download, pari a 6,2 mega contro i quasi 23 del Portogallo e i circa 20 di Regno Unito e Germania. Il problema, evidentemente, sta nella diffusione della banda larga e delle nuove reti: in Italia la penetrazione presso le famiglie è al 55,1% (72,5 in Europa) e presso la popolazione al 23,5% (28,8 in Europa).

Secondo D’Orazio ci sarebbe alla base un problema di scarsità d’investimenti in infrastrutture da parte delle aziende: “In Italia il mercato è debole sul piano concorrenziale e gli operatori offrono poca differenziazione e poca variabilità nei servizi.  Le aziende dovrebbero investire di più perché la domanda c’è”. Secondo il Capo di Gabinetto, dunque, la penetrazione di banda larga è oggi limitata non perché gli utenti non ne avvertano la necessità, quanto piuttosto perché esistono problemi in merito agli investimenti in infrastrutture.

Non dello stesso parere Marco Patuano, Amministratore delegato di Telecom Italia, il quale ha affermato durante il suo intervento che: “il problema non è soltanto tecnico, poiché la domanda è bassa a prescindere dalla qualità della rete”. Patuano ha ricordato la massiccia politica d’investimenti operata da Telecom Italia su tutto il territorio nazionale, pari a 16 miliardi negli ultimi cinque anni e “contiamo di investire altri 9 miliardi – ha ricordato Patuano – nei prossimi tre anni“. Il problema è sul fronte della domanda secondo l’Ad di Telecom, e lo dimostrerebbero i dati sulla Lombardia, dove si è promosso ampiamente lo sviluppo della rete, ma che non si è poi tradotto né in un più alto numero di utenti né in un forte innalzamento dei profitti. Addirittura, a fronte di un leggero innalzamento del costo del servizio in cambio di ben più alte prestazioni, gli utenti rimangono comunque appiattiti sulle tariffe più basse.

L’Amministratore delegato di Telecom ha fatto inoltre notare che, un altro problema per un più rapido sviluppo della rete, è dovuto all’assenza in Italia di un “cable operator”, presente invece in molti altri paesi al mondo, che con la preesistenza delle infrastrutture di rete nate negli anni 90 ha favorito lo sviluppo altrove lo sviluppo della banda larga. Inoltre, Patuano ha rinnovato il suo apprezzamento per il tema della “net neutrality”, sottolineando però che essa non è sinonimo di “net quality”. Al contrario, “se non si stabiliscono nuove e chiare regole per la sua governance – ha spiegato Patuano – non vi saranno limiti a quei soggetti che impiegano applicazioni che consumano maggiore banda, riducendo complessivamente la qualità e le possibilità di fruizione per gli altri utenti”.

Nonostante i dati negativi, sembra però che le aziende siano intenzionate a proseguire su una politica di costanti investimenti, tra questi il Presidente di Vodafone Pietro Guindani ed Alberto Calcagno, Amministratore delegato di Fastewb. Proprio Calcagno ha sostenuto la necessità di puntare sulla banda larga di qualità, come strumento per la maggiore attrazione di alcuni segmenti di clientela.

Salvatore Lombardo, Direttore Generale di Infratel, ha inoltre ricordato la disponibilità d’incentivi a sostegno delle telco affinché si possano raggiungere al meglio anche quelle zone dove si riscontrerebbe un “fallimento del mercato”. Nei prossimi mesi si continueranno a promuovere bandi ed incentivi basati sui fondi comunitari, e finora si sono già disposti circa 380 milioni di euro in favore degli Operatori (dei quali il 70% a fondo perduto). L’obbligo di rientro sarebbe di un triennio, e si auspica un valore aggiunto legato a tali investimenti pari a 500 milioni di euro. Inoltre, gli operatori saranno tenuti a garantire anche nelle zone più remote la presenza e qualità del servizio, ma non avranno vincoli riguardo alla tipologia di tecnologia da impiegare.

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