Crowdfunding e venture capitalist: intervista a Robin Teigland

Crowdfunding come nuova opportunità di finanziare progetti e iniziative e venture capitalist “tradizionali” alle prese con robin_teigland_asiktenfinanziamenti diffusi “dal basso” che non devono far dormire loro sonni tranquilli. Abbiamo parlato anche di questo con la dott.ssa Robin Teigland, professore associato della School of Economics di Stoccolma, esperta di piattaforme e modelli di crowdfunding, incontrata a margine della prima conferenza internazionale di  Crazy4digital.

Partiamo da una definizione: per crowdfunding Teigland si rifà ad una lettura ampia del fenomeno, per cui esso è l’ “accumulazione di piccoli investimenti su progetti privati fatta da un vasto numero di individui, attraverso, o grazie a, internet e ai social network”, definizione che mette in evidenza come la dimensione tecnologica e social sia sempre più rilevante per questa tipologia di investimenti.

Sul fronte della relazione tra venture capitalist “tradizionali” e forme di finanziamenti diffusi, è difficile stabilire in assoluto se il mondo tradizionale degli investimenti stia comprendendo appieno la portata innovativa del crowdfunding. Secondo la Teigland si è ancora in un panorama a macchia di leopardo, con alcune tipologie di venture capitalist in grado di percepire la forza del crowdfunding e altri che ne sono ancora lontani. In Silicon Valley, ad esempio, alcuni “sostengono che i tradizionali venture saranno sostituiti dal crowdfounding, secondo la logica che i venture capitalist sono gli agenti di viaggio di ieri, oggi qui, spariti nel futuro. Ma io propendo per una soluzione di convivenza. Molti venture capitalist, anche banche e governi, sono effettivamente bloccati oggi ma ci sarà sempre un ruolo per i tradizionali modelli di finanziamento soprattutto in momenti di crisi. Quando c’è una crisi, infatti, c’è necessità di avere più canali per accedere ai finanziamenti”. Senza contare, aggiunge Teigland, che i “tradizionali” venture capitalist hanno dalla loro qualcosa che serve necessariamente per tradurre qualunque finanziamento in progetto concreto e di successo:  “ovvero la conoscenza di come far crescere un’azienda, di come si fa business.” Ciò rafforza l’idea che ci saranno ampi margini di collaborazione e sinergia tra vecchio e nuovo “mondo”, benchè oggi la consapevolezza di questo connubio possibile non sia colto appieno dai venture capitalist tradizionali.

Schermata 10-2456594 alle 17.18.42E le aziende come guardano al crowdfunding? Per un fenomeno nato essenzialmente nella sfera dei finanziamenti di progetti privati laddove non personali, le aziende secondo Teigland guardano sempre con maggior interesse al crowdfunding  soprattutto per crescere e rafforzarsi, non soltanto per iniziare un’attività tanto che “Solo il 20% delle compagnie che usano crowdunfund sono startup, la restante percentuale è rappresentata da aziende consolidate che vogliono crescere, internazionalizzare, etc…” .  Ma non tutti i paesi del mondo possono vantare la stessa esperienza sul tema crowdfunding.

Tra gli Stati più avanzati sono gli Stati Uniti a farla da padrone: su una cifra complessiva di 2,7 miliardi di dollari raggiunti su varie piattaforme nel 2012, 1,6 miliardi provenivano dal solo Nord America. Mentre sul fronte europeo, invece, dove l’anno scorso si sono raggiunti i 960 milioni, troviamo la Gran Bretagna seguita da Olanda e Svezia. Nel resto del mondo è l’Australia ad avere un ruolo significativo, mentre Sud africa e Asia restano in coda.

Ciò che però deve accomunare necessariamente privati e aziende che decidono di intraprendere la strada del crowdfunding è la consapevolezza, dice la Teigland, che non basta la tecnologia a decretare il successo sperato.  “Molti pensano che fare crowdfunding voglia dire avere un’idea, metterla in piattaforma e aspettare che arrivi il denaro ma non è così semplice. In reatà la piattaforma fa molto ma deve esserci anche un gran lavoro di marketing per convincere le persone a donare, a investire nell’arco in pochi giorni”. Secondo alcuni, addirittura, la piattaforma conta per l’8% ma l’attività intorno  alla piattaforma, legata al prodotto e al marketing, pesa per il 20%. Bisogna, avere una strategia, un obiettivo,  per farcela,  avere un “Dream over plans”, esattamente come accade anche al di fuori del web e del mondo delle tecnologie.

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