Banca Mondiale: nuove strategie e opportunità per l’Italia

Il Gruppo della Banca Mondiale, con sede a Washington, è in prima fila nella creazione dell’agenda per lo sviluppo globale grazie ai suoi circa 500 miliardi di dollari di investimenti attivi in progetti a livello globale e con più di 200 uffici in 5 continenti.

Gli obiettivi fissati dal neopresidente Jim Yong Kim per la Banca Mondiale sono molto ambiziosi: da un lato, abbassare il tasso di povertà assoluta, a livello globale, fino al 9% entro il 2020 e al 3% entro il 2030, dall’altro, creare una “prosperità condivisa”, implementare, cioè, quelle politiche di sviluppo che affrontano il problema del 40% della popolazione mondiale che vive nella povertà. Obiettivi dietro i quali si celano numeri impressionanti: si parla di circa 1,2 miliardi di persone, il 18% della popolazione mondiale, che vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Altri 2,7 miliardi di persone hanno un reddito che oscilla tra 1,25 dollari e 4 dollari al giorno e sono sempre a rischio povertà estrema.

La nuova strategia proposta da Kim segnala non solo la volontà del Gruppo della Banca Mondiale di mantenere e rafforzare la leadership nella comunità internazionale in materia di sviluppo economico, ma anticipa anche la possibile fine del cosiddetto “Washington Consensus” (nella sua accettazione popolare) e anche una maggior attenzione verso le questioni di equità e sostenibilità nella crescita economica.

Ma alla base del cambiamento della BM non c’è solo la concorrenza ma anche il gradimento da parte dei clienti. E non di tratta di dati confortanti. Secondo uno studio della Banca stessa, i clienti (ovvero gli Stati) percepiscono l’istituto come un soggetto troppo complesso e con tempi troppo lunghi per l’approvazione dei progetti. Per non parlare delll’intervallo troppo lungo tra l’approvazione definitiva del progetto e l’implementazione effettiva dello stesso, ritenuto troppo lungo, per arrivare alla qualità dell’assistenza tecnica e della consulenza fornite dalla Banca in quelle aree dove sono presenti altri soggetti fortemente competitivi, ritenuti lacunosi.

Ed è in questo contesto che si inserisce la nuova strategia che con la la BM andrà a rafforzare alcune tematiche già presenti (infrastrutture, energia e sanità, ad esempio) per passare da una organizzazione “project led” (guidata dal progetto) ad una “solutions based” (basata sulle soluzioni), puntando a semplificare l’accesso ai finanziamenti da parte dei clienti, velocizzare i tempi per l’approvazione dei progetti stessi, migliorare il coordinamento tra le unità per porsi come una organizzazione basata sulla conoscenza che possa portare “state of the art solutions”

La Banca, dunque, intende concentrarsi ancora di più sui settori dove può avere un valore aggiunto spendibile, con una maggior concentrazione su progetti complessi e di grandi dimensioni, oltre all’attenzione costante sui Paesi fragili e in situazioni di post conflitto.

Infine si pone come catalizzatore di accordi pubblico-privati, per veicolare e attrarre investimenti privati e promuovere lo sviluppo del settore privato stesso. Il flusso di capitali privati per investimenti sia di circa un miliardo di dollari all’anno, mentre si prevede che, nel 2015, solo le rimesse degli emigrati verso il Terzo Mondo dovrebbero arrivare a circa 500 miliardi di dollari.

Nello specifico, il piano di Kim prevede la riorganizzazione dell’istituto di Washington in 14 aree globali, suddivise trasversalmente per grandi temi e non più per regioni, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione tra i 10mila dipendenti e migliorare l’efficacia nel rispondere ai bisogni dei vari Paesi in tempo reale.

E l’Italia?

Mutamenti di questa portata non possono non avere effetti per le imprese che vogliono rivolgersi all’istituto per promuovere la propria internazionalizzazioneFino agli anni Sessanta, l’Italia era un cliente della Banca Mondiale (uno degli ultimi progetti fu il finanziamento della centrale nucleare a Garigliano). Attualmente, il Bel Paese è rappresentato da uno dei 25 direttori esecutivi che formano il Consiglio e che stabiliscono e dirigono le attività della banca sotto la guida del presidente.

Un processo di semplificazione nella progettazione della BM e, ancor di più, un migliore accesso alle informazioni della banca stessa non potranno che facilitare le imprese di qualsiasi nazionalità, italiane comprese. L’attenzione verso il settore privato e il rafforzamento dei ruoli e della capacità dell’IFC potrà essere un valido aiuto alle imprese nazionali sottoposte al credit crunch e interessate anche all’internazionalizzazione. Inoltre, il focus specifico in investimenti verso i Paesi fragili e coinvolti in conflitti – aree in cui l’imprenditorialità italiana riesce, forse a causa della sua maggior versatilità, a difendersi e a guadagnare terreno – non potrà che essere di supporto.

Ma attenzione ai possibili svantaggi: la proposta del presidente Kim di voler favorire l’approvazione di grandi progetti, complessi e multisettoriali, comporta un ulteriore problema per le ditte italiane, tendenzialmente di dimensioni inferiori, con ridotti livelli di innovazione, di utilizzo di tecnologie e con una capacità di internazionalizzazione ridotta. Senza contare che in Italia sarebbe necessario poter avviare azioni e politiche a lungo termine con obiettivi chiari, per poter comunicare il proprio valore aggiunto agli IFI.

Per beneficare delle opportunità che la Banca Mondiale e le altre banche sovranazionali offrono, è necessario che le aziende, in primo luogo, si organizzino per l’internazionalizzazione, con una visione progettuale a 360°.

In secondo luogo, è obbligatorio essere costantemente aggiornati sulle gare e sulle opportunità offerte da queste organizzazioni. A tal fine, il lavoro di disseminazione da parte dell’ufficio del direttore esecutivo italiano potrebbe essere affiancato, supportato e assistito da molti altri attori istituzionali e non, come Camere di Commercio, Confindustria, Regioni, ambasciate, organi di stampa specializzata.

Infine vi è la necessità di creare, stabilire e codificare un nuovo modello di interazione con gli IFI, su misura per la singola ditta e che passi attraverso una specializzazione settoriale, il monitoraggio delle informazioni, la presenza sul campo e soprattutto la ricerca costante dell’eccellenza.
In altre parole, “one size does not fit all“.

Come è stato notato proprio dall’ufficio del direttore esecutivo italiano della BM, il mercato degli IFI ha un grande potenziale per le imprese italiane. Inoltre, sono proprio la maggior difficoltà per le imprese nell’accesso al credito e l’accresciuta concorrenza nell’aggiudicazione di bandi di origine comunitaria che dovrebbero spingere le imprese italiane a impiegare sempre più sforzi e risorse nei confronti delle banche multilaterali di sviluppo e, in particolare, della Banca Mondiale.

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