WSD – Riconoscimento

riconoscimentoSul mio computer, da qualche giorno, è attaccato un post-it benaugurante sul quale è scritto anerkennung, che in tedesco vuol dire “riconoscimento”.
Il post-it è una delle due cose che ho riportato in Italia da tre giorni trascorsi a Berlino, dove ho lavorato alla seconda.
Sta lì, a ricordare al quotidiano professionale che una delle parole che muovono il lavoro è proprio quella, con tutte le proprie estensioni semantiche, che vanno dall’economia alla sfera emotiva.
“Riconoscimento” è proprio una parola corposa e densa, capace di includere non solo l’atto del saper vedere l’altro (dov’è, come opera, in quale relazione è con noi) ma anche il passo successivo, che è fatto di “restituzione” esplicita. Sia “riconoscimento” che “restituzione” sono due parole fortemente legate all’economia, è vero. Ma sono così economiche che anche la nostra lingua le ha estese alla relazione.

In ambito professionale, è esperienza di tutti, se il mondo è fermo sul piano degli obiettivi che creano ricchezza dalla qualità, sia il riconoscimento sia la restituzione vengono meno, lasciando spazio a un sentimento di frustrazione e al suo compagno sul fronte produttivo: un lavoro fatto male. Che è anche un lavoro antieconomico.
Ciò che non ha margini di essere riconosciuto non ha ragione di essere fatto bene.
Tipica espressione degli ambienti professionali è, infatti, “attacco l’asino dove dice il padrone” che, nel 99% dei casi significa portare a termine un’attività senza alcuna preoccupazione del risultato finale. O meglio: senza alcuna preoccupazione che il risultato finale sia fonte di soddisfazione per chi ha lavorato a un prodotto, sia esso un documento o un’ idea. O, meglio ancora: nella certezza che il risultato finale ci farà schifo.
A meno di non volerci considerare eterni impiegati dell’Area Frustrazione di un’ azienda, in un contesto pieno di padroni e gerarchie non riconoscenti dove siamo alienati come se fossimo alla catena di montaggio, dovremmo fare tutti lo sforzo di non attaccare l’asino dove dice il padrone solo perché è il padrone che ha detto dove attaccare la bestia.
I padroni, si sa, hanno tanti asini e poco tempo.
A noi, che siamo nella posizione per avere una visione complessa delle cose, tocca ricordare che abbiamo un asino del quale prenderci cura (il prodotto) e un padrone (un capo) da riconoscere. Ma anche che dobbiamo a nostra volta essere riconosciuti per ciò che sappiamo fare, ricevendo la restituzione dovuta a chi fa le cose per bene.

In mezzo a tanti asini attaccati dove capita, tanto per dire che l’asino sta lì e quindi si è lavorato, vale la pena di portare il nostro dove riteniamo che debba andare. Magari è l’Asino d’Oro, che, guarda caso, con il “riconoscimento” ha avuto parecchio a che vedere.

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