Perché dissento dal Ministro Carrozza (@mc_carro)

Le dichiarazioni del Ministro Carrozza sul ruolo del “digitale” nella scuola hanno fatto molto discutere. Probabilmente, le dichiarazioni non sono state riportate fedelmente e completamente (personalmente, ho letto i due articoli del Corriere delle Comunicazioni e di TechEconomy). Inoltre, non voglio mettere in dubbio la buona fede del Ministro e, se posso permettermi, della collega Carrozza. Vorrei anche dire che posso intuire l’intento del Ministro e cioè sottolineare il fatto che la formazione sui temi del digitale debba permeare tutte le materie e non essere relegata ad un singolo “titolo di corso”. Anzi, concordo con il Ministro quando dice che dobbiamo stare attenti ai “professionisti dell’innovazione” (e aggiungo io dell’agenda digitale, delle startup, …) che abusano di una retorica troppo spesso facilona e superficiale.

Ciò detto, non posso non esprimere il mio dissenso – di merito e di metodo – su alcune questioni di fondo sollevate dal Ministro.

Sul merito

Il Ministro afferma che “l’educazione digitale” non è una disciplina, ma un tema trasversale. Vero, per certi versi, ma profondamente falso per altri.

Chiaramente, se con “educazione digitale” indichiamo la formazione per un utilizzo di base degli strumenti digitali più diffusi potrei anche essere d’accordo. Certamente serve alfabetizzare. Ma il problema dell’Italia è andare ben oltre.

Le tecnologie digitali trasformano tutte le forme e articolazioni della nostra vita sociale e economica. Inoltre, contengono al loro interno principi, leggi, concetti, paradigmi che cambiano il modo di vivere e vedere la nostra società e l’economia. Non si tratta “solo” di imparare ad usare una “penna o un telefono un po’ più efficienti”, ma di acquisire strumenti metodologici e concetti di base che cambiano il nostro modo di essere e operare. Algoritmi e strutture dati, codifica delle informazioni, programmi e programmazione, complessità, esternalità di rete sono solo alcuni esempi di concetti e discipline di base che devono progressivamente entrare nel bagaglio di conoscenze di ogni moderno professionista, così come lo sono i concetti di funzione, insieme o equazione (per fare esempi matematici). Nel 2014 non è accettabile che si debba considerare il digitale solo come un insieme di tecniche imparate per “fare le cose in modo più efficiente” o una materia per pochi specialisti che devono “costruire computer e fare software”. Peraltro, è emblematico quello che poche settimane fa ha detto a questo proposito il Presidente Obama: “we need to master the tools and technology …”, dice. Interessante l’uso del verbo inglese “master”, non semplicemente “conoscere” o “saper usare”.

Oggi il gap che si vede in molti professionisti, politici e uomini di economia non è semplicemente una scarsa dimestichezza nell’uso quotidiano dell’email o dei social network, ma una incapacità di fondo nel cogliere le regole e i principi fondanti il mondo della rete e delle tecnologie digitali. Non è una questione di fare un po’ di training, né di fare una “educazione civica della rete”. Bisogna studiare e capire i principi dell’informatica e delle reti, così come si studiano i principi della fisica o della matematica.

Ovviamente, come avviene in qualunque altra disciplina, i programmi e gli strumenti didattici devono essere modulati in funzione dell’età e dei percorsi. Molto interessante a questo proposito lo straordinario lavoro fatto all’MIT per i bambini nell’ambito del progetto Scratch. In ogni caso, è indubbio che l’informatica (e le tecnologie digitali in generale) è e deve essere a pieno titolo una disciplina fondante.

Sul metodo

In un paese digitalmente arretrato come l’Italia dove molti politici si vantano di non usare l’email e dove molti manager vedono le tecnologie digitali solo come un pericolo da contenere e limitare, credo sia necessario promuovere la cultura digitale in modo radicale e profondo. Per cui anche le parole di avvertenza o di prudenza su eventuali distorsioni e pericoli devono essere misurate e rivolte in positivo per perseguire il fine ultimo di una promozione convinta e diffusa della cultura e delle competenze digitali.

Per questo non capisco l’uscita del Ministro. Ne posso capire la buona fede, ma non ne condivido in alcun modo merito e metodo.

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