Dis-Ability Experience nella “bit generation”

C’è una quarta dimensione materica allo stadio attuale della vita umana: l’infomobilità. Dentro e fuori le reti, la nostra identità si è fatta connettiva: capace di plasmarsi e riperformarsi rigenerandosi come la pelle, ma anche un “io media-digitale” in grado di agganciarsi, connettersi continuativamente e costantemente a qualcosa o a qualcuno, reso rete dalle maglie che egli stesso ha tessuto. Un’immagine quasi surreale, a volerla dipingerla con fantasia, quella dell’attuale “uomo connettivo”: tante sono quelle che si rincorrono su Internet se si cerca di afferrare visivamente il concetto digitale della vita; forse fra tutte quella di Magritte, con la sua testa di aria, coperta da una bombetta, è quella che meglio può descrivere il nostro stare sempre fra le “nuvole”. Se anche la sensorialità si fa connettiva, ecco che una delle prime tecnologie assistive per le persone con disabilità, il touch screen apre ad una comunicazione che mette in con-tatto mondi finora difficilmente dialoganti e ora invece tutti accessibili in modo sincrono e always on.

TechAbility@work questa volta si focalizza su quelle piccole-grandi “APP” che stanno rivoluzionando il mondo della connessione e dell’accesso ai contenuti in Rete consentendo quella che potremmo definire davvero una “Dis-Ability Experience”, un modo cioè per “disabilitare” alcuni limiti e fare allo stesso tempo un’esperienza con la propria disabilità che si apre al multiaccesso.

MovieReading

E’ talmente un’opportunità democratizzante la Rete, che le persone con disabilità – in particolare sensoriale e motoria – vogliono (per diritto e per desiderio!) con tutte le forze esserne parte, poiché l’always on espone ad una quotidiana mediatizzazione dei rapporti, oltre che alla dimensione social della vita, che nessuno vuole farsi “sfuggire” se può contribuire alla propria voglia di socialità, anche mediata. Insomma, il “sé” divenuto pubblico grazie ai processi di comunicazione agiti nella sfera pubblica – come ci insegnava Hürgen Habermas con il suo illuminante “Storia e critica dell’opinione pubblica” che scrisse nel 1961 – diventa sempre più opportunità di condivisione grazie a quella che possiamo chiamare “comunicazione connettiva. E dunque, nello spazio delle multimediali narrazioni delle identità sul palcoscenico delle proprie reti – che ognuno può settare, scegliere, aprire, chiudere, modificare –  le “app” stanno diventando uno dei modi di entrare in scena e di prendervi parte con la propria identità digitale, una personalità che si muove fra le tanche chance di contenuto e intrattenimento offerti, spesso a prezzi del tutto concorrenziali se non gratuitamente. Fino a pochi anni fa, quando si chiamavano solo “applicazioni” senza essere transitate nel friendly “app”, la possibilità di sperimentare servizi a valore aggiunto, magari con accessi personalizzati su siti specifici nei quali il proprio login apriva ad un profilo proprio, era oneroso e costoso; anche svilupparli significava uno sforzo di programmazione notevole, addirittura qualcosa che solo una compartecipazione pubblico-privato pareva potesse consentire. Così accadde per la lungimirante “ACT! – Accessibility City Tag” sviluppata da IBM Italia attraverso la sinergia fra l’IBM Innovation Center di Milano con IBM Human Centric Solution Emea, con il business partner Neotilus e in stretta collaborazione con il Comune di Nettuno che aveva l’obiettivo di facilitare la vita quotidiana di cittadini e turisti con disabilità: era solo il 2010 e le “smart cities” sprigionavano le loro promesse, finora solo parzialmente realizzate. Da allora, in termini di sviluppo e possibilità aperte, sembrano trascorsi molto più che soli quattro anni: un po’ grazie agli “smanettoni” digitali, un po’ grazie al fatto che l’infomobilità è davvero divenuta la “quarta essenza” dell’attuale vita sociale e professionale (aggiungendosi di fatto alle tre dimensioni di spazialità in cui ci muoviamo solitamente), i costi si sono abbassati e i prodotti moltiplicati, anche nel multiaccesso e nelle app aspiranti ad essere prove di “universal design”.

Fra le molte, TechAbility@work ne presenta alcune che si differenziano per essere apripista o legate ad esperienze già più strutturate. Una app recente riguarda i consumi culturali delle persone con disabilità: si tratta di MovieReading, scaricabile da Android market, App Store e Samsung Apps) e consente quel che finora era quasi trattata come fosse “un’elemosina culturale” poiché su tablet o smartphone rende finalmente fruibili in piena autonomia sottotitoli e audiodescrizioni di film in sincrono e in una qualsiasi sala cinematografica o anche in tv. La notizia è davvero sensazionale in particolare per chi ha sofferto la mancanza, storica in Italia, di un’offerta cinematografica accessibile, lacuna oggetto di denuncia sociale da molti anni nei quali solo alcune rassegne periodiche hanno tentato l’operazione culturale. In particolare, “Cinema senza barriere” (su Roma e Milano principalmente), con lo slogan “stessa sala, stesso film” ha avuto il merito di aver avviato e offerto per lunghi anni le uniche occasioni di fruibilità accessibile di un film, seppur mai in prima visione per ostacoli provenienti dalle major e dalle distribuzioni. Con MovieReading i sottotitoli sono fruibili sul proprio schermo, ma anche sulle lenti di uno speciale occhiale elettronico, i “caption glasses”. Le audiodescrizioni, sempre sincronizzate, sono ascoltabili tramite le proprie cuffiette; la videoteca MovieReading dispone ad ora di qualche decina di film ma promette di aumentare presto il proprio catalogo.

liberi_di_muoversi_iphone_webPer venire incontro alle esigenze di chi ha mobilità ridotta per qualsiasi motivo, esiste più di una app, anche “a tema” oppure sviluppata in un preciso ambito territoriale; fra quelle per così dire generaliste, c’è Liberi di muoversi disponibile per Iphone e Ipad e pubblicizzata così: “Per aiutare “Liberi di muoversi” non servono donazioni, serve solo un passa parola per poter avere più commenti possibili su più luoghi possibili”. Un modo esplicitamente richiesto dagli sviluppatori per sostenerli è di scaricare il banner “Liberi di muoversi” o aggiungere al proprio sito il loro link. A livello territoriale, fra le altre, “Trentino Accessibile”, profilabile come ACT! di IBM Italia per singola categoria di disabilità e per destinazioni (uffici, attività commerciali, ristorazione, musei, mezzi pubblici, strade, …) e anche questa disponibile per Android e Apple; e poi “UmbriaAccessibile”, applicazione del portale www.umbriaccessibile.com, lanciata come “bussola per l’Umbria”, utile per tutti e particolarmente destinata a trovare strutture ricettive la cui accessibilità (in termini di barriere, larghezza porte, ma anche ristoranti per celiaci, …) è stata rilevata dettagliatamente da operatori formati ad hoc. Un obiettivo finora egregiamente soddisfatto anche da Village4all, primo in Italia ad aver realizzato questo tipo di censimento sul turismo accessibile e attualmente saldo punto di riferimento in quest’ambito.

E poi ci sono app per sostenere gli apprendimenti o le alternative possibilità di comunicare, come per chi utilizza la CAA – Comunicazione Aumentativa Alternativa, forma di linguaggio visuale che usa dei simboli codificati per esprimere concetti, parole, necessità da parte di persone che hanno perso o mai raggiunto il linguaggio verbale; per saperne di più, fra le altre segnalo questo blog.

Si può affermare “piccole app crescono”! Un processo che genera, fra l’altro, buoni user generated content la cui veridicità e attendibilità sono avallate via via proprio dal fatto che le segnalazioni, i tag, le informazioni, gli “I like it”, le condivisioni, i download crescono: questo è il metro di validazione di un servizio, di un contenuto e anche di una app che mette in scena quella che vogliamo chiamare la “bit generation” che, pure se non c’è nata in Rete vi si trova a proprio agio, immersa quasi in una sorta di moderna liquidità che reca in sé un retroterra primordiale, in qualche modo placentare in cui ognuno di noi si è formato alla vita in una biologica – ma ancora analogica – multisensorialità.

Le app sembrano ormai un valore aggiunto dell’always on, una dote dell’infomobilità, un elemento in continua evoluzione della comunicazione immersiva e connettiva, una dimensione con cui le identità digitali interagiscono in modalità squisitamente social: tutto ciò  per le persone con disabilità costituisce una risorsa in più di partecipazione. Lo sviluppo di una app è spesso, fra l’altro, anche fonte di lavoro e si ripercuote sulla diffusione di un’informazione di base, sulla conoscenza di iniziative, territori, opportunità, cultura; sul turismo accessibile, sulle autonomie, sulla conoscenza, sul modo di scegliere come trascorrere il proprio tempo e, in definitiva, sulla socializzazione connettiva.

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