WSD – Famiglia

Alle nostre latitudini, la parola in questione risuona come poche.
Abbiamo un’idea di Famiglia che si infila in ogni ganglo delle nostre emozioni, che spesso domina le scelte, che ci perseguita attraverso i sensi di colpa, i modelli, le ansie. È il prezzo che si paga per avere in cambio la sicurezza che, dietro alle nostre spalle, non ci sia il vuoto ma un insieme di gente pronta a entrare in relazione con noi.

happy familyL’esperienza professionale ci insegna che la Famiglia, nella sua versione più dolorosa e invadente, riesce a comparire in un gruppo di lavoro molto prima delle qualità individuali.
Tutti abbiamo avuto il collega perennemente al telefono con una moglie che ritiene di dover comunicare al marito l’andamento della propria giornata.
Tutti, o quasi, abbiamo avuto figli malati, malatissimi, ripetutamente malati, pronti a ricordarci il bivio tra mandarli all’asilo per lavorare e non lavorare perché li si è mandati all’asilo.
Tutti, indistintamente, abbiamo provato il brivido di voler fare notte con i colleghi su un progetto mentre venivamo strattonati dal senso di colpa per non essere presenti a casa.

Vale per tutti, donne e uomini.
Così come vale per tutti l’idea, altrettanto perversa, che il gruppo di lavoro possa e debba diventare una Famiglia all’interno della quale riversare il privato. Un’idea perversa perché si basa sulla necessità di utilizzare schemi in continuità, più comodi, noti, a loro modo testati.

E, se sovrapponiamo il modello 1 (portare la Famiglia sul lavoro) al modello 2 (rendere il lavoro una Famiglia), il risultato è una Gigantesca Famiglia che invade il nostro quotidiano. La professionalità, schiacciata da dinamiche non-professionali, viene rapidamente meno, e anche organizzare una riunione può rivelarsi un pericoloso slalom tra appuntamenti dal pediatra del collega Tizio, accompagnamenti del coniuge del collega Sempronio, crisi di coppia mutilanti del collega Caio. Il peggior aspetto di quella cosa (delicatissima anch’essa) che si chiama empatia, emerge in tutta la sua potenza devastante.

La chiave, come in quasi tutto, è l’unione tra il Tempo della Persona e il codice di comunicazione che utilizza.
Il Qui e Ora nel quale si agisce deve contemplare il codice adeguato.
Si può “trattare” con un coniuge che il tempo professionale sia uno spazio meno violabile del tempo domestico.
Si può decidere di presentarsi ai colleghi senza raccontare come uniche le scelte personali.

Si può mettere in calendario una riunione facendo valere impegni non necessariamente esplicitati nel linguaggio: un “non ci sarò” è diverso da “devo portare la bambina dal pediatra” ma ha, professionalmente, dignità superiore a qualsiasi motivazione che suoni come un “tengo famiglia”.
Ché la teniamo tutti, una Famiglia, e a volte vorremmo essere sull’Everest a guardare il panorama in compagnia del silenzio. Un collega impagabile.

Quanto scritto sopra è ferocemente impopolare. Portatemi sull’Everest.

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