Telegram: tra crittografia, dubbi e sentimenti anti-Facebook

Telegram è un’applicazione di messaggistica istantanea estremamente simile al suo gemello ciclopico “WhatsApp”. Fondato dai fratelli Nikolai e Pavel Durov, gli stessi che hanno dato vita al Facebook russo “Vkontakte”, Telegram si presenta esteticamente come un’alternativa equivalente all’applicazione acquistata di recente da Mark Zuckerberg, ma possiede alcune caratteristiche peculiari che la stanno portando a crescere in maniera esponenziale, raggiungendo i 35 milioni utenti in poco tempo:

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Telegram non è ancora in grado di essere considerato un reale competitor di WhatsApp dato che quest’ultimo conta ben 450 milioni di utenti attivi, ma l’aver raggiunto questa cifra in così poco tempo merita quantomeno una piccola riflessione. Innanzitutto, pare proprio che a fare gioco-forza all’applicazione russa sia lo scandalo Datagate: gli utenti hanno cominciato seriamente a desiderare rispetto per la propria privacy (anche se non sanno bene cosa questa parola voglia effettivamente dire, ormai) e il danno di immagine di Facebook non è una cosa da poco.

Come riporta Gigaom, il segreto del successo sembra essere proprio costituito dalle particolari garanzie offerte dai gestori del servizio in temini di privacy e sicurezza. In pratica Telegram offre un sistema di crittografia tra client e server: le comunicazioni non viaggiano più in chiaro ma vengono codificate in modo da rendere la loro decriptazione altamente difficile a terze parti che potrebbero cercare di intercettarne il contenuto. Il protocollo di crittografia in questione si chiama MTProto e, a detta di alcuni esperti, potrebbe essere violato e decrittato nel caso in cui i server di Telegram vengano violati (pratica per altro usata anche dall’NSA). Nelle Faq di Telegram troviamo però una risposta alquanto precisa e provocatoria a questa obiezione: “Supportiamo due strati di crittografia sicura (server-client e client-client). La nostra crittografia si basa sulla crittografia simmetrica a 256 bit AES, RSA 2048 […] Chi sostiene che i messaggi di Telegram possono essere decifrati è invitato a dimostrarlo partecipando al nostro concorso per vincere $ 200.000 [In Bitcoin, ndr].”

In pratica chi riesce a decifrare i messaggi potrà ricevere un premio di 200.000 dollari. Una cifra non da poco considerato il fatto che attualmente Telegram non possiede un modello di business sostenibile: girano in rete dichiarazioni dei programmatori alquanto bizzarre sul fatto che l’applicazione sia pensata per essere “al servizio del popolo” (sic!). Come sosterranno le spese future? Il sistema resterà invariato? Difficile fare previsioni.

Inoltre secondo Snowden (la fonte principale dello scandalo NSA che è intervenuto in video durante lo scorso SXSW) la crittografia vera è ancora una chimera semi-irrangiungibile per gli utenti (da Motherboard):  ”Il modo in cui interagiamo oggi non va bene. Se devi accedere a una riga di comando, di sicuro le persone non la useranno. Se devi scavare fino a tre sottomenù di profondità, le persone non la useranno. [La crittografia] deve essere lì, già pronta. Deve essere automatica. Deve accadere senza soluzione di continuità.”

Quel che è certo per adesso è che la “paura del monopolio” di Mark Zuckerberg fa un gran bene all’applicazione dei fratelli Durov minore: infatti dopo l’acquisto del CEO di Facebook dell’applicazione WhatsApp, la popolarità di Telegram è balzata alle stelle, specie se si calcola che proprio dopo l’acquisto WhatsApp ha subito un blackout di ben 210 minuti e in quel momento Telegram ha registrato un incremento di utenti vertiginoso.

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Come riporta Biagio Simonetta su Il Sole 24 Ore:

Facebook, acquistando WhatsApp ha messo una seria ipoteca sul mondo mobile. Le applicazioni più diffuse per smartphone sono ora di proprietà del colosso di Palo Alto. E proprio questa sorta di monopolio pare aver messo in allarme più di qualche utente. Le domande più ricorrenti, sui blog settoriali, sono: che cosa ne farà Zuckerberg di tutti questi dati? Non gli bastava l’acquisto di Instagram

Per tutti i motivi sopracitati, non credo in una possibile diffusione massiccia dell’app, o quantomeno una sua reale utilità rispetto a WhastApp. Ben venga la crittografia, ben venga una maggiore presa di coscienza sull’argomento (non so fino a che punto in realtà), ne abbiamo davvero bisogno. Cerchiamo però di orientarci bene e capire davvero come sistemi del genere possano aiutarci, prima di cedere i nostri meta-dati ad aziende che ci promettono sicurezza in maniera troppo poco limpida.

 

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