Dai dubbi amletici sull’Agenda digitale ai piani operativi

L’agenda digitale in Italia non è un problema di mancanza di idee. È così chiaro che cosa si debba fare che i convegni sul tema hanno ormai il sapore degli avanzi del cibo riscaldato dopo  le feste, in cui il rischio di formare quell’eco nella stanza dei soliti addetti ai lavori, di cui parlava Riotta, è sempre più tangibile. Certamente l’agenda digitale ha un enorme problema di governance, ma che potrebbe essere semplicemente risolto, individuando un’unica figura che ricopra i vari livelli. Ciò che manca ora sono i piani operativi: quei piani che oltre alle idee indichino attori, tempistiche, fondi necessari e calcolino anche il rapporto costi benefici.

Procediamo per ordine, partendo dalla Governance: il primo atto sul tema che aspettiamo da questi primi 100 giorni di Governo Renzi. Tutti ricorderanno che la Cabina di regia per l’attuazione dell’Agenda Digitale era stata istituita nel 2012 per fare sinergia tra la PA, volta alla digitalizzazione del Paese e produrre il decreto crescita 2.0: il primo testo normativo che definisce il processo di attuazione dell’Agenda digitale italiana. L’Agenzia per l’Italia digitale era stata istituita, invece, per mettere in atto gran parte delle misure definite dalla cabina di regia e proporne annualmente di nuove.

Nel 2013 però la Cabina di Regia è stata riorganizzata: qualche Ministero in meno rispetto alla prima versione e guidata dalla Presidenza del Consiglio che si avvaleva di un Commissario straordinario. Tale Commissario straordinario si avvaleva a sua volta di una struttura di missione istituita presso la Presidenza del Consiglio. L’Agenzia per l’Italia digitale diventava quindi il braccio operativo:

  • sia di questa struttura di missione guidata dal Commissario Straordinario,
  • sia dal suo Comitato di indirizzo ancora mai nominato (a sua volta composto per legge da rappresentanti di 4 Ministeri, 1 della PdC, 2 della Conferenza Unificata più 2 membri del Tavolo permanente dell’innovazione.
  • sia della Cabina di regia stessa che però non si riunì mai (formata dai Ministri competenti, da un Referente per le Regioni e da un referente per i Comuni, guidati tutti dal Presidente del Consiglio).

Una struttura barocca che non poteva evidentemente funzionare: ha bloccato i decreti attuativi del Decreto Crescita 2.0, ha rallentato di ben 17 mesi lo Statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale, lasciando questa in attesa – ancora oggi – dell’approvazione del bilancio che non consente la definizione della pianta organica e dalla nomina del comitato di indirizzo.

Digital championImpossibile lavorare così, nella più totale deresponsabilizzazione di ogni figura coinvolta. Eppure questo caotico meccanismo potrebbe essere messo in ordine con un solo atto: individuare un’unica figura – meglio se politica – capace di rappresentare tutti gli attori pubblici coinvolti nel processo, ovvero che sia al contempo Digital Champion (a meno che non lo faccia direttamente il DG dell’AGID), Presidente del Comitato di Indirizzo dell’Agenzia, inglobando così anche la figura straordinaria di Commissario e coordinando così il lavoro anche degli altri ministeri attraverso i referenti del Comitato di indirizzo stesso.

La Cabina di regia andrebbe soppressa, considerando che il Presidente del Consiglio, per definizione, coordina gli altri Ministeri e che nell’ultimo anno e mezzo non si è mai riunita. Il Comitato di indirizzo dell’AGID, invece, garantirebbe una stretta sinergia tecnica fra i Ministeri e l’attività operativa dell’AGID.

Ma se la governance è un problema risolvibile facilmente, non è altrettanto immediato risolvere l’operatività: tradurre le idee in progetti concreti. Non bastano solo le idee, anche perché a questo punto siamo così in ritardo che le idee non servirebbero nemmeno più! Basterebbe copiare dai tanti Paesi più avanzati. Mettiamoci dunque tutti al lavoro e traduciamo le nostre idee in Piani. Basta convegni: tradurre queste infinite idee – di cui gli italiani sono geniali produttori – è molto più complesso, poiché non basta prevedere l’evoluzione tecnologica e nemmeno le relative ripercussioni sociali. I piani operativi richiedono certezze negli investimenti, tempistiche, attori coinvolti, aree interessate compatibilità normativa e… Ritorni. Il ROI potrebbe anche essere negativo nel medio periodo, trattandosi di piani che possono prevedere la presenza del pubblico, ma devono presentare un’analisi costi benefici assolutamente positiva. Di Piani con queste caratteristiche ne girano ancora troppo pochi, che difficilmente riescono a emergere fra le tante idee, dal budget improvvisato e dai benefici calcolati sulla base del buon senso.

Non possiamo più aspettare: in questi giorni si stanno definendo i prossimi sette anni sia per l’utilizzo di 64 miliardi di euro comunitari (FESR e FEASR) sia per i fondi nazionali di sviluppo e coesione, altri 54 miliardi di euro. E nessuno sta difendendo l’Agenda digitale, eppure sarebbe l’unica capace di rilanciare l’economia nazionale, senza la quale perdono competitività le nostre aziende e i nostri lavoratori, creando un divario che sarà molto difficile da colmare.

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Rossella Lehnus, classe '83, esperta di economia digitale, già Consigliere per le Reti e l'innovazione del Ministero dello sviluppo economico, gestisce i rapporti tra questo, la Commissione europea e le Regioni per l’attuazione del Piano Nazionale Banda Larga e del Piano Strategico Banda Ultralarga nel territorio italiano. Nell'ambito degli accordi siglati tra Ministero dello sviluppo economico, Fondazione Ugo Bordoni e Agenzia per l’Italia digitale e tra questa, Invitalia e Infratel Italia, si occupa del Piano Nazionale di razionalizzazione e consolidamento dei Datacenter della PA. È referente del Ministero dello sviluppo economico – dipartimento impresa e internazionalizzazione per l’attuazione dell’accordo di programma con Unioncamere volto alla digitalizzazione delle imprese italiane.

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