Storie di agende e di panchine

Riprendo un recente articolo di Stefano Epifani, utilizzandolo come spunto per una ulteriore riflessione sul tema degli alibi che vengono costruiti intorno ai ritardi sulla tabella di marcia per l’attuazione dell’Agenda Digitale.

“Se solo avessimo delle risorse, faremmo sfracelli. Peccato, non ne abbiamo!”
Oppure: “Eh, ma non c’è la banda larga”.
Un po’ come dire: “Se fossi bello come Scamarcio, sai cosa farei”.
Vado subito al fondo del ragionamento: ha ragione Stefano. E’ un problema di vision.
Non che questa manchi del tutto, sia chiaro: ci sono fior di dirigenti – anche tra i cosiddetti “apicali” – ai quali non manca nulla per sviluppare ottime strategie e ancora migliori piani operativi. Nulla tranne un solo piccolo particolare: la copertura politica. Il maledetto “commitment”. Quella cosa per cui, a un certo punto, l’Assessore e/o il Governatore di turno dice: “Ok: lo voglio. Si fa.”

PanchinaE qui scatta l’aneddoto. Flash-back: si torna indietro di quasi trent’anni.
Giovane di belle speranze catapultato nel magico mondo dell’informatica per la pubblica amministrazione, sotto la bandiera di una allora gioiosa macchina da guerra di nome Olivetti.
Anticamera del Sindaco di una grande (diciamo “quasi grandissima”) città italiana.
Dopo quasi un’ora, entro. E parto col ritornello imparato a memoria (ero agli inizi, e con me c’era il mio capo di allora …).
A un certo punto, lui: “Sì, è davvero molto interessante. Quello che lei mi sta proponendo, immagino, costerà qualche centinaio di milioni (di lire). Ottimo. Però, vede, io con qualche centinaio di milioni di lire compro talmente tante panchine e altalene da riempire tutti i giardini pubblici. Lei capisce, quanti voti di mamme mi porto a casa? Ecco: lei è sicuro che coi computer porterei a casa lo stesso numero di voti?”
Avevo sbagliato lavoro. Avrei dovuto occuparmi di arredo urbano.
Oppure no. Oppure avrei dovuto dimostrare che i computers (con la “s”, perché è plurale …) portano voti.
Inevitabilmente (perché io sono fatto così) scelsi la busta numero due. La strada più difficile.
A me i rettifili mi generano ansia da “è troppo facile”.

Ed eccoci al 2014. Quanti politici la pensano ancora così? Tantissimi.
“Ah, sì, lei è quello dell’agenda digitale. La seguo, lo sa? Solo che non riesco proprio a capire dove vuole andare a parare coi suoi ragionamenti”.
Andiamo bene.
Immagino che più o meno la stessa cosa capiti ai (non pochi) dirigenti regionali costretti a difendere con le unghie e coi denti budget sempre più risicati, di fronte ad assessori che continuano a trovare maledettamente più sexy le panchine e le altalene o gli stand alla sagra del peperone.
A tutto questo, aggiungiamo poche risorse umane assegnate al tema. Et voila: les jeux sont faits. Budget tagliati, impossibilità di star dietro a tutto e (naturale conseguenza) incapacità di spendere tutti i pochi soldi assegnati.
Ma, soprattutto, mancanza di fantasia e di arte di “fare con poco”. Do more with less, come dicono quelli che se la tirano.

ROIChe poi, se soltanto questi politici (sempre meno, devo dire, ma ancora troppi) riuscissero a capire che stiamo parlando di aiutare le imprese a sviluppare più business, i ragazzi a migliorare le loro capacità di apprendimento, i malati cronici a essere più seguiti, eccetera eccetera.
E diciamoglielo, una buona volta: sono voti. Anche questi, sono voti. Magari, lo capiscono.
Smettiamola di menargliela col CAD, con “luci e ombre”, con “approfondimenti di rigore”. Facciamola finita una buona volta col convegno sul “facciamo il punto su questo o su quell’altro”.
Usiamo lo stesso linguaggio dei produttori di panchine e dei costruttori di palazzoni.
L’agenda digitale porta consensi, porta voti.
Proviamo, una volta per tutte, a dimostrare un ROI. Come tornano gli investimenti in ICT.
Punti di PIL, IVA versata, disoccupati che diventano occupati, uffici vuoti che diventano affittati, e via così.
Sarà tutto molto meno serioso che non un ottimo dibattito sull’importanza dell’XML o sulla necessità dell’IPv6.
Echissenefrega, lasciatemelo dire.

Qualcuno mi rimprovera di essere “facilone”, di parlare con un linguaggio troppo diretto, di “imbarbarire” un mondo abituato a toni formali e parole difficili.
Sarà.
Solo che poi, quel Sindaco di trent’anni fa, alla fine comprò da me e rimandò le panchine per l’anno successivo. Venne rieletto. E quel Comune ancora oggi fa la sua porca figura in quanto a organizzazione e performance.
A distanza di quasi trent’anni, vedo ad esempio succedere cose molto belle tutto laddove si abbandonano le liturgie e i formalismi e si mira al sodo. Dove ci sono persone (Debora Serracchiani, tanto per fare un nome) che danno retta a iniziative disruptive e portano a casa risultati spettacolari.

Ce la possiamo fare? Certo che sì.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here