Made in Italy, innovazione e prospettive per il futuro: intervista a Santo Versace

santo versace
Santo Versace è attualmente Presidente Fondatore di Altagamma e Presidente del partito Fare per Fermare il Declino.

La ricerca e l’innovazione rappresentano i cardini sui quali innestare una politica industriale degna di questo nome.” A dirlo è Santo Versace, tra i più noti imprenditori nel settore della moda e promotore del made in Italy come Presidente Fondatore di Altagamma. Lo vedo ogni giorno nella nostra azienda e in tutto il settore in cui operiamo, il quale da tempo fonda sulla ricerca la sua capacità di mantenere la leadership internazionale.” Presidente di FARE per Fermare il Declino, partito oggi in lizza per le elezioni europee con la lista “Scelta Europea”, lo abbiamo intervistato per meglio conoscere la sua idea riguardo alle politiche che in Italia e in Europa dovrebbero promuovere la ricerca e l’innovazione.

A suo giudizio sono adatti e sufficienti gli strumenti che l’Unione Europea mette oggi a disposizione degli Stati nel campo dell’innovazione? 
L’Unione Europea ha da sempre il tema dell’innovazione tecnologica al centro delle proprie politiche, basti ricordare che tra gli obiettivi di Europa 2020 vi è l’impiego sempre più ampio di energie rinnovabili e al contempo si prevede un innalzamento degli investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3% del Pil dell’UE. Il problema che occorre invece porsi è quanto le opportunità che l’Europa ci offre (anche a livello di fondi già stanziati) siano conosciute in Italia, e se si sia in grado di coglierle. Non mi riferisco soltanto alle incapacità del settore pubblico, ma anche alla ritrosia a investire a lungo termine da parte dei nostri player nazionali. Il vero limite italiano comunque sta nell’assenza di strutture pubbliche competenti e capillari, in grado di dare una mano a livello operativo; a ciò si aggiunge il sottodimensionamento aziendale, che rende impossibile dedicare tempo e risorse per preparare progetti complessi. E poi verso il settore delle nuove tecnologie, non vedo gli stessi investimenti che vedo ad esempio in campo energetico, sia sul fronte pubblico che privato.

Quindi per il rilancio economico italiano attraverso l’innovazione e la ricerca, non c’è un problema sulle politiche europee, bisogna invece guardare all’ecosistema delle imprese e delle istituzioni nazionali? 

Diciamo che mi meraviglia che non sia centrale il discorso relativo alle nuove tecnologie nel panorama politico e sociale italiano. Però è chiaro che nel paese delle PMI qual è l’Italia, il problema degli investimenti in innovazione è di difficilissima soluzione per la singola azienda; ma proprio per questo credo occorrerebbe stimolare ad esempio, con adeguate politiche fiscali, i centri di ricerca e le reti di imprese che puntano sull’innovazione.

La Legge di Stabilità sembra andare in questa direzione… 
Molte realtà imprenditoriali vi hanno trovato una speranza per rilanciare le proprie iniziative di investimento in ricerca e sviluppo. Infatti, è stato previsto il credito d’imposta per tutte le aziende che investono su attività di ricerca e sviluppo di università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca. Ma ancora una volta però, mi rincresce dirlo, ai buoni propositi non sono seguiti i fatti, con il risultato che molte imprese sono ancora in attesa di conoscere i tempi e le modalità per fruire di tali incentivi. Occorrono le procedure attuative del credito d’imposta, per opera del ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il ministro dello Sviluppo economico; sono il passo fondamentale per rilanciare buona parte dell’economia italiana e della sua competitività.

Ma le imprese, soprattutto le Pmi, possono aspettare questo passo? 
A mio avviso no, poiché l’innovazione non è un’opzione, bensì il motore per il cambiamento e lo sviluppo. Vi sono imprenditori che continuano a perseguire scelte innovative nei campi più diversi, puntando decisamente sulla ricerca per migliorare la propria capacità di progettare nuovi prodotti e comunicarli al mercato, ricorrendo anche alle neuroscienze, con risultati sorprendenti. A tal proposito una serie di ricerche importanti le sta sviluppando la Fondazione GTechnology, con la quale Altagamma e Confcooperative hanno siglato una serie di accordi per sviluppare progetti di ricerca e implementare nuovi servizi legati alle nuove tecnologie. L’obiettivo è fornire soprattutto alle PMI delle basi per fare innovazione rendendosi più competitive sul mercato. In questo contesto ad esempio, l’attività della Fondazione GTechnology si inserisce in quel modello europeo che stabilisce che anche i privati possano promuovere iniziative che ricalcano i concetti che ho esposto: grande attenzione alle esigenze delle imprese e della società nel suo complesso, altissime competenze, grande propensione all’innovazione e continuo interscambio con realtà universitarie, di ricerca ed enti pubblici”.

E per quanto riguarda il Mezzogiorno, una realtà alla quale lei presta molta attenzione, quali opportunità vede? 

Sempre più imprenditori sviluppano le loro idee di business nel Mezzogiorno Il Ministero dello Sviluppo Economico ha istituito nuovi finanziamenti per promuovere la nascita di start up nelle regioni del Sud proprio per rilanciare e garantire un futuro al sud. Nel Mezzogiorno non solo ci sono grandi opportunità di crescita ma c’è anche un desiderio e un bisogno di emergere che non è così presente in altre zone d’Italia.

Esiste però il problema del digital divide: è sempre più acceso il dibattito attorno all’Agenda digitale e allo sviluppo della banda larga, soprattutto in alcune aree del Paese… 
Quasi tutti i paesi dell’Occidente sono ripartiti dopo la crisi del 2008 grazie al contributo pubblico alla ricerca e all’innovazione. Finanziare la ricerca con fondi pubblici di varia natura per accelerare lo sviluppo attraverso l’innovazione è una ricetta vincente. Occorre spingere l’acceleratore sulle liberalizzazioni, scardinando rendite di posizione che appesantiscono la propensione al nuovo. Aggiungo che è intollerabile che il provvedimento sugli sgravi fiscali per le imprese che fanno innovazione sia ancora fermo su qualche tavolo del Ministero dello Sviluppo economico: la leva rappresentata dal credito d’imposta sugli investimenti in ricerca è uno degli elementi che può aiutarci a non perdere il treno della ripresa che sembra annunciarsi. Anche rispetto all’attrattività nei confronti degli investitori esteri in Italia il problema è la mancanza, o la non completa leggibilità, di un preciso quadro normativo, di una politica incentivante e, last but not least, di una adeguata infrastruttura. Tutto ciò finisce per farci perdere punti nei confronti di altri paesi che puntano in modo deciso ed esplicito su questo elemento.

E’ noto il suo impegno nel cosiddetto terzo settore. Qual è, a suo giudizio, il ruolo di questi soggetti? 
Non intendo entrare nel merito delle singole iniziative, alle quali cerco di dare un contributo, mi limito a rimarcare che il vastissimo mondo del volontariato rappresenta anch’esso un elemento di forte innovazione. Fortunatamente il nostro Paese in questo campo è all’avanguardia, e le persone impegnate sono davvero tante; e anche sul piano dell’economia, si tratta di un fenomeno di tutto rispetto. Un tema sul quale anche l’Europa ci funge da faro, perché tra i cinque obiettivi per il 2020 non dimentichiamoci che ci sono anche la tutela dell’ambiente e la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. In questo contesto c”è tutta una vastissima area nella quale innovazione tecnologica e innovazione sociale vanno di pari passo, con risultati di grande rilievo. Anche qui, ad esempio, la Fondazione GTechnology sviluppa accanto a ricerche per il mondo profit, anche alcune volte alla cosiddetta rigenerazione sociale e territoriale. Quindi la cooperazione tra mondi profit e no profit può anch’essa essere un fattore di sviluppo e di grande utilità per la crescita dell’Italia.

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