Diritto all’oblio: cosa è successo e quali sono i nodi irrisolti?

Il tema del diritto all’oblio non è nuovo e non nasce con il web: si tratta di “una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona, per tali intendendosi principalmente i precedenti giudiziari di una persona”. Ma l’arrivo di internet e della permanenza delle informazioni digitali in rete va a modificare, o comunque rende più complessa, la gestione del diritto all’oblio e la definizione dei suoi confini. Ed è in questa complessità che si inserisce la recente sentenza della corte Ue che chiede ai motori di ricerca, e in particolare a Google, di dare la possibilità agli utenti di segnalare link che rimandano a informazioni che ne compromettono la reputazione, e chiederne la rimozione.

Larry Page, co-fondatore di Google, ha espresso apprezzamenti per la Corte Europea che pone più attenzione per le vicende legate alla privacy dopo gli scandali che hanno visto coinvolta l’NSA, ma dalle pagine del Guardian pone una serie di avvertimenti molto forti: “mi preoccupa l’effetto che potrebbe avere sulla democrazia nel corso del tempo, se non lo facciamo alla perfezione” o ancora “sarà utilizzata da altri governi, che non sono così avanti e progressisti come l’Europa, per fare cose deprecabili”. Cerchiamo di procedere con ordine.

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Di cosa stiamo parlando?

Il 13 maggio 2014 la Corte Europea ha sancito la messa in atto del diritto all’oblio all’interno dei paesi che fanno parte della Comunità Europea. In particolare, il testo recita: “il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”. In pratica, Google è responsabile di dati che non ha “maneggiato” in prima persona ma semplicemente “indicizzato” attraverso il proprio algoritmo: gli utenti potranno chiederne la rimozione direttamente all’azienda di Page.

Come diffuso  dalla Commissione Europea, la norma approvata è orientata ai consumatori europei e non ci si potrà appellare a cavilli legali per aggirarla: “il diritto all’oblio sarebbe un guscio vuoto se le norme sulla protezione dei dati dell’UE non fossero applicabili alle società non europee e ai motori di ricerca. La protezione dei dati proposta dal regolamento, per la prima volta, non lascia alcun dubbio giuridico, non importa dove si trova il server fisico di una società di elaborazione dati: quando una società anche non europea offre servizi ai consumatori europei , deve applicare le regole europee.”

Per tutta risposta Google ha provveduto alla creazione di un apposito form da compilare per chiedere la rimozione dei link e le richieste di cancellazione da parte dei cittadini europei sono vertiginose. Come riporta il Wall Street JournalGoogle Inc. ha fatto sapere [martedì 3 giugno ndr] di aver ricevuto 41.000 richieste da parte di persone che vogliono eliminare i risultati che si presentano per il loro nome nei primi quattro giorni” di apertura al pubblico del form per la compilazione, 12.000 il primo giorno, circa 20 al minuto.

Da una notizia cartacea locale a tutto il mondo, la timeline:

  1. Come riporta BBC News, nel 1998 un cittadino spagnolo di nome Mario Costeja Gonzalez era colpito da gravi difficoltà finanziare: per far fronte al problema mette all’asta una sua proprietà sperando di poter recuperare così abbastanza credito da poter risolvere le sue criticità. L’accaduto viene seguito e riportato da un quotidiano.
  2. Nel 2010 il giornale decide di digitalizzare i propri archivi e di renderli disponibili per gli utenti. Tra le varie notizie digitalizzate c’è anche quella di Mario Costeja Gonzalez e della sua asta: Google coerentemente con quanto sempre fatto, indicizza tutte le notizie presenti negli archivi tra le quali anche quella che stiamo considerando.
  3. Dopo qualche mese Mario Costeja Gonzalez si accorge, digitando il proprio nome su Google, che tra le varie notizie c’è anche quella dell’asta e, ritenendo che tali collegamenti possano danneggiare la sua reputazione, decide di far causa al giornale, a Google Spain e a Google Inc. con l’obiettivo di far rimuovere i link.
  4. Il passo successivo lo descrive Giulio Coraggio su TechEconomy: “l’autorità Garante spagnola respinge la richiesta con riferimento all’editore del giornale e ordina a Google Spain di deindicizzare i contenuti in questione. Google Spain impugna la decisione davanti al giudice ordinario spagnolo che poi invoca la Corte di Giustizia europea”.
  5. Arriva il 13 maggio 2014 e la Corte di Giustizia Europea si pronuncia sull’accaduto affermando che Google “non è un mero responsabile del trattamento dei dati personali indicizzati tramite le proprie ricerche, ma è titolare degli stessi e l’attività di raccolta, indicizzazione e organizzazione di pagine web contenenti dati personali è una forma di trattamento di dati personali”.
  6. Il 29 maggio Google istituisce il form da compilare per chiedere la rimozione dei link: come già detto ne arrivano 12.000 solo il primo giorno.
  7. Il 31 maggio, come riporta Bloomberg, Google istituisce un vero e proprio comitato etico per valutare gli effetti del Diritto all’Oblio e su come dovrà muoversi l’azienda di Larry Page:  il nuovo comitato speciale ha cinque membri, tra cui Jimmy Donal Wales, cofondatore di Wikipedia, Frank La Rue dalle Nazioni Unite , Peggy Valcke dell’University of Leuven law School, l’accademico Jose Luis Pinar e Luciano Floridi della Oxford University.

Controversie, nodi irrisolti e prossimo futuro

Il diritto all’oblio è un passo fondamentale per tutelare la privacy e la riservatezza degli utenti, almeno così sostengono i suoi fautori e sostenitori. Le parole più forti in difesa del diritto all’oblio vengono proprio da Mario Costeja Gonzalez, che subito dopo la sentenza ha detto al Guardian:  “stavo combattendo per l’eliminazione dei dati che influenzano negativamente l’onore e la dignità delle persone e che espongono al pubblico la loro vita privata. Tutto ciò che mina gli esseri umani non è libertà di espressione”.

I nodi centrali sembrerebbe proprio questi: il diritto di informare, la libertà di espressione e il contrasto con la privacy delle persone. Scrive Rory Cellan-Jones sul sito della BBC che si tratta di “una battaglia tra due visioni della libertà: la convinzione americana che “la libertà di parola vince su tutto” e la vista europea che “gli individui dovrebbero avere un certo controllo su ciò che il mondo sa su di loro“. Ma c’è qualcos’altro in gioco qui, un disagio crescente sul potere esercitato da ciò che viene identificato come “il controllo che hanno i colossi del web statunitensi sulle nostre vite” (Google, Facebook, Twitter, etc. ndr)».

La questione non è nuova ma questa volta potrebbe cambiare molte cose: come sostiene Giulio Coraggio infatti “questa è una novità di non poco rilievo che potrebbe avere risvolti non solo per Google, ma anche con riferimento a tutte le tecnologie che raccolgono i c.d. Big Data per fornire servizi di marketing o profilazione.” Non si tratta di un problema da poco per lo sviluppo di alcune tecnologie che basano la propria esistenza proprio sui Big Data: quale sarà il prossimo scenario per l’Internet of Things in Europa? L’IoT avrà un reale sviluppo ovunque tranne che nel territorio comunitario?

Inoltre, fino a che punto è sostenibile una massiccia richiesta di cancellazione da parte dei 28 paese membri? Viviane Reding, Commissario europeo alla Giustizia e ai diritti fondamentali dei cittadini, ha dichiarato a Bbc Radio 5 Live che “Se Google riesce a gestire i milioni di richieste che riguardano il copyright, può affrontare le poche richieste, in confronto, per il diritto all’oblio”. Una dichiarazione alquanto sbrigativa.

Negli Stati Uniti ci si pone l’interrogativo su quanto spazio di manovra ci sia effettivamente nel testo di legge e quali conseguenze porti. Nel testo è scritto che la discriminante per la decisione di rimozione dei link da parte di Google è basata sul “vecchio” o “irrilevante”.  Ma Henry Blodget su Business Insider fa un esempio estremamente calzante per spiegare le perplessità che una tale definizione concerne: “una causa per negligenza nei confronti di un medico di 7 anni fa può essere classificato come dato “vecchio” o “irrilevante”? Dal punto di vista del medico, potrebbe essere. Dal punto di vista del potenziale paziente, tuttavia, potrebbe essere importante.” Questo tipo di controversia può essere applicato praticamente a tutto.

Anche tra gli hacktivisti di tutto il mondo il dibattito è in corso e di non facile risoluzione, come testimonia questo tweet:

In ogni caso, i dubbi di carattere strutturale sulla sentenza arrivano da Luciano Floridi, filosofo italiano incluso nella Commisione di Google per il Diritto all’Oblio, il quale, intervistato da Fabio Chiusi per Wired, afferma:

Nel caso in questione (quello di Mario Costeja Gonzalez, ndr), rimuovere un link a una informazione accurata, completa e corretta non mi sembra la soluzione: più che altro, il tentativo di arrivare a un compromesso che non mi soddisfa. Da un lato ci sono gli abusi, dall’altro abbiamo messo Google alla direzione della censura. Da un lato, c’è il fondamento liberal-democratico, i diritti umani da preservare; dall’altro, l’applicazione finisce per fare di Google, o l’azienda di domani, il gatekeeper dell’informazione a cui gli utenti possono o non possono avere accesso a seconda delle richieste inviate a Google o a quell’azienda. C’è un contrasto nella coerenza del disegno: ci aspetteremmo fossero altri a controllare, Google non dovrebbe essere in quella posizione. Ma ce l’abbiamo messo con una decisione legale”.

 

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