L’avvio del processo di riforma della Pubblica Amministrazione restituisce attualità al tema, ormai a forte rischio di usuramento, dell’agenda digitale.
Sono da tempo iscritto al partito di coloro i quali sostengono che non ha senso parlare di Agenda Digitale – e, in particolare, di digitalizzazione della PA – sino a quando avremo una PA analogica per costituzione. Il rischio è quello di ripetere gli errori commessi quindici anni fa, quando fu avviato (dall’allora ministro Bassanini) quello che poi divenne il piano nazionale di e-government: un grande piano, molto ben concepito da Lucio Stanca e dai suoi collaboratori, destinato a schiantarsi contro la grande muraglia di gomma della burocrazia statale/regionale/provinciale/comunale.
Facendo – come al solito – gli ottimisti, diamo già per fatta la riforma della PA (anche se non sarà una passeggiata di salute, e questo Marianna Madia lo sa benissimo) e proviamo a immaginare il “restart” dell’agenda digitale italiana.
Personalmente, ho un sogno: vorrei un restart dove nessuno senta la necessità di tornare ad immaginare una pubblica amministrazione (statale, regionale, comunale) che si mette a scrivere software, a sviluppare portali, a immaginare carte a microchip, a montare hot spot per il Wi-Fi, e via di seguito. Dove nessuno si azzardi a chiedere fondi più o meno miliardari per mettere in scena la replica del film “Il meraviglioso mondo dei fondi UMTS destinati all’e-government”.
Fa molto bene al cuore leggere documenti come quelli che arrivano da Regione Toscana, dove si prende finalmente atto di un mondo completamente cambiato e dove si ragiona (nei fatti) di “government as a platform”. Slancio, velocità, partecipazione: questi i tre attributi fondamentali da associare al processo di completa innovazione della PA italiana. Rivoluzione, rivoluzione vera.
Partendo dal primo principio fondamentale, ma sinora rigorosamente disatteso: è severamente vietato buttare alle ortiche tutto quanto fatto sinora.
“Ricominciamo da tre”, come diceva Troisi. Ammettendo che almeno tre cose giuste siano state fatte, sinora.
Se c’è qualcosa da buttare via, questo è l’approccio: smettiamola di ragionare intorno a pagine Web (il Web è morto, per chi non se ne fosse ancora accorto) e intorno ai portali di servizi.
La PA deve finalmente capire che il suo ruolo principale è quello di abilitare il mercato, generando opportunità di sviluppo: una Regione che scrive software o stende fibra ottica non può rappresentare una best practice (ma vale anche per un Ministero, fosse anche il MEF …).
Dobbiamo arrivare a realizzare uno scenario all’interno del quale l’acronimo “SPC” non significhi più “sistema pubblico di connettività” ma bensì “servizio pervasivo di conoscenza”.
Dobbiamo costruire un mondo dove il termine “ecosistema” non significhi più “apro un tavolo per farmi dare ragione” ma piuttosto “mettiamoci insieme – pubblico e privato – a lavorare concretamente”.
Fa piacere constatare che qualcuno già sta facendo cose concrete che vanno esattamente in questa direzione: fa piacere soprattutto quando questo “qualcuno” è una Regione che da sempre detta l’agenda piuttosto che copiaincollarla.
Sto parlando della Toscana.
Dove si è avviato un circuito virtuoso di ecosistemi digitali (a partire da quello per la sanità elettronica) finalizzato a mettere insieme pubblico e privato con un solo obiettivo: incrementare la quantità e la qualità di servizi resi a cittadini e imprese evitando assalti alle diligenze della spesa pubblica e ruoli imbarazzanti da software house pagata dal contribuente.
Dove anche la politica “ci mette la faccia”, avviando confronti pubblici come quello che avrà luogo oggi (16 giugno) all’auditorium del Consiglio Regionale della Toscana.
E dove, ça va sans dire, gli imprenditori IT e gli operatori TLC sono in prima fila.
Voi mi direte: “beh, certo, loro sono sempre in prima fila quando c’è da spartirsi un mercato”.
Peccato che invece, questa volta, le cose non stiano esattamente così: sono in prima fila pronti a investire, oltre che a collaborare tra loro.
Perché qui, caso mai ci fosse qualcuno che non lo ha ancora capito, il tema principale è quello di allargare il mercato, piuttosto che farsi concorrenza sugli spiccioli attuali.
In questo senso, una PA capace di costruire piattaforme di accelerazione rappresenta un’opportunità epocale.
Speriamo che tutti si mettano a copiare la Toscana.
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