Innovazione è una parola dotata di profonda spinta propulsiva e di altrettanto incommensurabile entropia.
Perché ci sono concetti che lì per lì sembrano rivoluzionari. Poi, man mano che le persone li masticano, diventano significativi come un aperitivo. Da luoghi della mente, si trasformano in incubi densi di contraddizioni e di variabili. Prendete ad esempio il caso dell’apericena che funesta le nostre città al tramonto.
E ora focalizzatevi sull’Innovazione Percepita. Avete avuto anni per farvi un’idea, probabilmente subendo miliardi di slide. Non vi verrà difficile.
Innovazione è la parola dietro la quale si può trovare il desiderio di Cambiamento e le azioni per compierlo con pensiero, fatica, scelte, oppure la stasi delle facce sempre uguali e delle dinamiche perpetue. L’apericena, né più né meno.
Vuoi cenare? Siediti e mangia una carbonara. Vuoi un aperitivo? Bevi e mastica sei tartine, preferibilmente in piedi.
Non c’è da inventarsi una cosa nuova, le cose ci sono già.
E così è con questa benedetta Innovazione, che poi vorrebbe dire fare le stesse cose in maniera diversa e non inventare spasmodicamente roba nuova da fare nello stesso modo di sempre. Perché le cose nuove sono inutili, altrimenti l’Uomo le avrebbe inventate prima. Abbiamo avuto secoli di Storia: non è antropologicamente possibile dirci, oggi, che ci eravamo dimenticati qualcosa.
Cambiando, complicandosi, evolvendosi il contesto, l’essere umano ha bisogno di fare meglio ciò che ha sempre fatto e prodotto. Invece l’Uomo mente a se stesso, si finge capace di nuovi bisogni e perde moltissimo tempo a concepirli, dimenticando che con lo stesso tempo potrebbe raggiungere i bisogni di prima in modo migliore. Per stare semplicemente meglio.
Radicalmente parlando, non innova chi cambia gli obiettivi, innova chi cambia il modo per raggiungerli.
Chi, per esempio, modifica il lavoro quotidiano e i suoi processi, accettando la fragilità che crea, in chi la agisce, l’Innovazione di questo tipo. Una fragilità che è anche sociale, talvolta con una componente solitaria, ma sufficientemente limpida da consentire il riconoscimento del gruppo con il quale andare avanti.
E ora riflettiamo a quante volte non sarebbe valsa la pena di accettarla, quella fragilità, invece di perdere tempo a creare conforto nel noto: vergare slide, fare riunioni-fiume in giro per il Paese, allestire tavoli di lavoro e fare la fila per salutare chi un po’ conta e un po’ millanta.
Magari a un apericena.
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