Agenda Reloaded

E l’inevitabile accadde.
Dopo le nomine (già, a proposito: ma i decreti di ratifica sono arrivati?), è partito il campionato nazionale di tiro alla giacchetta: le dieci cose, le quattro cose, le sette cose che l’AgID deve fare adesso.
Chi dice “partiamo dal PIN”, chi dallo SPID, chi si immagina di affossare l’SPC, chi ricomincia a pontificare sul numero magico di data center della PA. E via discorrendo, con menu più o meno sofisticati e ricette snocciolate che nemmeno Benedetta Parodi.
“La Poggiani deve fare così”, “Quintarelli deve partire da qui”, eccetera.
Ho già provato a dire come la penso, quindi non mi ripeterò: proviamo a fare un passettino in avanti, dopo troppi anni di oblio e di ammuina.
Dichiarando esplicitamente in partenza una regola: non vale dire “l’AgID deve limitarsi a fare puntualmente tutto quello che prevede il decreto che la istituisce”. Troppo comodo. E troppo distonico rispetto a un esecutivo che sta rimettendo in discussione il bicameralismo, il CNEL, le Province, figuriamoci quanto poco ci può mettere a rivoltare l’AgID come un calzino.

digitalSe non vogliamo nuovamente cambiarle il nome (e non è il caso, dopo quattro cambi nel giro di undici anni), AgID si chiama così perché si deve occupare di Italia Digitale. Non “PA” digitale: “Italia”. Il Paese.
La PA e la Sanità sono un di cui, importantissimo a piacere ma pur sempre un di cui.
Mettendoci idealmente sul marciapiedi di fronte a Viale Liszt e volgendo lo sguardo in alto, dovremmo poter pensare: “là dentro ci stanno quelli che si devono immaginare come trasformare un Paese dove ancora si mette la ceralacca sulle buste in un Paese capace finalmente di accorgersi che tutto il resto del mondo è cambiato”.
Poi uno entra, prende l’ascensore, entra nelle stanze e trova tutt’altro.
Sia ben chiaro: non sto criticando nessuno: dentro AgID ci sono ottime persone e notevolissime competenze. Solo che sono state assunte per scrivere standard per il fascicolo sanitario elettronico, specifiche per le smart-card, piani di migrazione dei data center ministeriali. E lo fanno ottimamente.

Ragioniamo un istante anche sul concetto di “Agenzia”.
Una dozzina di anni fa, nel corso di un mio study tour in USA, mi spiegarono che il bello delle Agenzie rispetto ai Dipartimenti (Ministeri) era la “smartness”. Strumenti snelli, veloci, poco ancorati alla liturgia burocratica.
Torniamo un istante a Viale Liszt: a un certo punto, nel bel mezzo di una riunione, arriva inevitabilmente quello che dice una cosa tipo “beh, ma a questo punto dobbiamo chiedere un parere a Tizio”, oppure “peccato, non abbiamo il potere per fare questa cosa, dobbiamo coinvolgere la Presidenza del Consiglio”.
E qui si capisce come mai AgID a volte è in ritardo nell’emissione di linee guida o quant’altro: mica è colpa loro, è che il quadro delle competenze è talmente complicato e barocco che diventa materialmente impossibile far succedere qualsiasi cosa in tempi compatibili con quelli ipotizzati a monte.

A questo punto, scatta la proposta.
innovationPerché non facciamo una giornata di studio (seria) sul ruolo di AgID e sulla governance dell’innovazione del Paese?
Ma non una di quelle giornate dove tutto deve essere “pettinato” e rigorosamente politically correct, dove tutti dicono la loro e poi alla fine ci si ricorda soltanto della crostatina con l’ananas al coffee-break.
Quella che ho in mente è una giornata di studio che se non ci sono tutti i ministri belli schierati in sala, a partire dal Presidente del Consiglio, manco si comincia a parlare. Anche perché se continuiamo a raccontarcela tra di noi più o meno addetti ai lavori, non si arriva a concludere un beneamato nulla.
Quella che ho in mente è una giornata di studio che comincia con tutti quanti noi più o meno vecchietti belli attenti ad ascoltare dei sedicenni che ci raccontino come si immaginano l’Italia Digitale. E che finisce con tutti noi che chiediamo a  loro di darci una mano.
Con un’avvertenza: guardate che se la facciamo davvero e qualcuno di noi si mette a parlare di smart-card c’è il rischio che ci tirino le uova marce.

Scommettiamo che non la si farà mai, una cosa così?

 

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