Lo stato della Nazione

Prima della pausa estiva la comunità di quello che si chiamava un tempo il settore delle “comunicazioni elettroniche” si ritrova in Parlamento per ascoltare la relazione annuale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. L’evento è di tipo broadcast e inizia con l’introduzione del Presidente della Camera che ribadisce, in modo abbastanza convincente, l’importanza del comparto e le sue ripercussioni economiche e sociali. Segue la relazione del Presidente dell’Autorità, con la tradizionale carrellata sulle decisioni prese, il tentativo di dare certezze al comparto per garantire l’innesco di meccanismi di innovazione e concorrenza virtuosi, nonché il richiamo alla latente conflittualità degli attori, che colgono talvolta nella regolamentazione una vera e propria linea di business.

Il documento è agli atti e quello che segue vuole essere una lettura non convenzionale, un sorvolo tra e sopra le righe di quanto riportato. Agli specialisti il piacere di inoltrarsi nelle 423 pagine della relazione vera e propria.

TlcFermare il declino. Nell’insieme, il settore delle comunicazioni in senso lato rimane di grande importanza, con i suoi 56 miliardi di fatturato nel 2013 (poco meno del 4% del PIL), sfortunatamente in calo del 9% rispetto all’anno precedente. Scorrendo la dinamica dei singoli segmenti e partendo dalle situazioni più critiche, in fondo alla classifica troviamo i periodici (-17%), seguiti dai servizi di telecomunicazioni di rete mobile (-14%), accomunati da difficoltà strutturali, che nel caso dei servizi mobili sono però legati ad effetti regolamentari destinati, almeno parzialmente, ad attenuarsi. Gli altri segmenti in forte difficoltà sono quelli dei servizi di telecomunicazioni di rete fissa, i servizi postali tradizionali, i quotidiani (attorno a -7%). All’estremo opposto, l’unico segmento in positivo è quello dei corrieri, mentre la pubblicità su Internet e la TV a pagamento contengono i calo al -2%. In sintesi, telecomunicazioni a -11%, media a -7%, servizi postali a -2%.

Liberisti.  Siamo tutti liberisti, ma è chiaro come i segmenti in minore sofferenza siano quelli meno concorrenziali, che riescono a frenare il declino delle attività più tradizionali, soppiantate dalle nuove forme di comunicazione digitale, introducendo progressivamente nuovi servizi in grado di ridurre l’impatto sui propri ricavi e margini. Anche se l’attenzione mediatica è rivolta prevalentemente sul comparto de radio-televisivo e dell’editoria, vale la pena di ricordare come il peso delle telecomunicazioni sul totale sia ancora di oltre il 60%.

Il paradosso dei volumi. Nelle reti di telecomunicazioni si scambiano ormai prevalentemente dati, con una prevalenza, destinata ad accentuarsi, di video (prevalentemente gratuiti), anche se va ricordato come per effetto dei nuovi modelli tariffari la componente voce è cresciuta nell’ultimo anno comunque dell’8%. La fortissima crescita del traffico non è però accompagnata da un aumento della spesa media per utente, con effetti netti che continuano ad essere deflazionistici, come dimostra il confronto tra l’andamento dei prezzi al consumo (indice a base 2010), che  è attualmente pari a 107, rispetto al 92 delle telecomunicazioni, con una riduzione di 17 punti nell’ultimo quinquennio, il calo più forte tra i grandi Paesi europei. Rimane vero che la riduzione dei ricavi è legata alla riduzione dei servizi intermedi (in particolare quelli regolamentati), ma oltre la metà del calo di fatturato è imputabile alla pressione competitiva. A fronte di questa situazione, gli operatori stanno comunque mantenendo un livello molto elevato di investimenti, pari a circa 6 miliardi all’anno (su un fatturato di 34,5 miliardi), destinati alle reti di nuova generazione, necessarie per sostenere la crescita dei consumi e ad alimentare la speranza di innescare una ripresa nella spesa media per utente.

Concorrenza. Mentre nella componente di accesso fissa Telecom Italia continua a mantenere una quota di mercato rilevante, nella banda larga la sua quota è ormai scesa sotto il 50%, con valori di molto inferiori, laddove si è sviluppata la concorrenza infrastrutturale (nelle città medio-grandi), mentre nel mobile il testa a testa tra TIM e Vodafone vede una prevalenza del primo sulle SIM e del secondo in termini di ricavi da servizi.  Ipotizzando un’eventuale fusione tra il terzo  e il quarto operatore mobile (entrambi in crescita di SIM), si arriverebbe ad una situazione di concorrenza quasi perfetta, con il mercato che si suddivide in tre parti quasi uguali, con una componente residua (attorno al 10%) rappresentata dagli operatori mobili virtuali. Il mobile continua poi ad essere un mercato “lavatrice”, con 16 milioni di clienti che hanno cambiato operatore nel solo 2013. Negli altri comparti si conferma la leadership RAI nella televisione gratuita (grazie alla componente del canone), con una quota del 49%, contro il 35% di Mediaset, mentre nella TV a pagamento Sky controlla quasi il 78%, precedendo Mediaset (19%). Nell’editoria quotidiana, il gruppo l’Espresso detiene una quota pari al 21%, davanti a RCS con il 17%. Nel settore postale la quota di mercato di Poste italiane è ancora preponderante, al netto del segmento dei corrieri espresso, che rappresenta però circa la metà del totale ed è la componente più dinamica.

Verso un oligopolio concorrenziale?

 

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