Il Servizio Clienti si paga. Specie se non ce l’hai

Il Customer Care ha un prezzo. Soprattutto quando manca: quando latita un Servizio Clienti degno di questo nome e, oggi più che mai, un Customer Care online via social, un Social Care pronto a interagire e reagire in real time rispetto alle richieste del cliente.

A saperlo bene [ma avrà capito la lezione?] è Comcast, maggior operatore di TV via cavo USA, di cui abbiamo parlato più volte ultimamente. L’azienda è stata infatti al centro di un caso divenuto in breve “scandalo”: in poche settimane la sua immagine ne è uscita tanto distrutta da meritarsi appunto, per la seconda volta dal 2010, il titolo conferito dal Consumerist di «Worst Company in America». Comcast si ritrova di nuovo classificata al livello più basso dell’«American Consumer Satisfaction Index», con le performance peggiori rispetto a tutta l’industria delle Telco, «prezzi alti, scarsa affidabilità, servizio clienti ogni giorno peggiore».

serv_clientiTutto, si ricorderà, è partito da una telefonata. Una chiamata di troppo, sbagliata, al momento sbagliato e, soprattutto, alla persona sbagliata: a Ryan Block, personaggio di spicco del mondo hi-tech, in forza ad AOL, già giornalista noto nel settore e con un seguito su Twitter di quasi 100mila followers. Block ha rilanciato e ricondiviso nell’etere la conversazione, debitamente registrata, e ascoltata ben 5 milioni di volte, in cui come in un incubo ha tentato fino all’esaurimento di recedere dai servizi della compagnia, nonostante gli stremanti tentativi dell’operatore di trattenerlo, in una grottesca quanto assurda politica di retention. La goccia che ha fatto traboccare il vaso. È bastato un cinguettio per diffondere la notizia viralmente ovunque. La sacrosanta richiesta di Block e della moglie Veronica Belmont – «We’d like to disconnect» – e la reazione di Comcast – incatenare il cliente, perseguitarlo per trattenerlo dal sacrosanto esercizio  del suo diritto di recesso – hanno fatto il giro del mondo: con tanto di vignetta dedicata sul New Yorker e inclusione nella «Top Ten List» di David LettermanLesser-known Labors of Hercules»). «La vicenda ha toccato un nervo scoperto», ha commentato Block. «È stata la versione aggressiva di una chiamata che penso molta gente abbia avuto».

Comcast si è nel frattempo scusata: sia pubblicamente, su Twitter e sul sito, sia più efficacemente e sinceramente con una nota – ahinoi solo interna – intercettata dal Consumerist, verificata da Ars Technica e quindi riportata da The Verge. Qui finalmente si fa mea culpa, riconoscendo non solo l’errore, ma la sua radice: nell’azienda, nell’orientamento al cliente, nella [carente] organizzazione del Customer Care.

Evidentemente però non è bastato. Migliaia di clienti in tutti gli Stati Uniti hanno condiviso fiumi di esperienze simili, fra telefonate da incubo, appuntamenti con i tecnici mancati, addebiti inattesi e non dovuti. Un fiume finito su social network, blog e forum come comcastmustdie.com e la sezione dedicata di Reddit.

E dire che stiamo parlando di una delle aziende più grandi e importanti d’America. 57esima nella classifica di Forbes sulle Public Companies più grandi al mondo, attualmente al centro delle cronache anche per la discussa, possibile fusione con la «Time Warner Cable». Anche e proprio questo presunto “grande scacco” alla concorrenza, però, quest’attestazione di crescita, risulterebbe sgradito alla maggior parte dei consumatori: un ulteriore “segno meno” nell’ideale pagella del rapporto azienda-cliente. Un simile, controverso passo verrebbe cioè visto come operazione di pura e semplice «acquisizione di business», mirata all’incremento del fatturato, del «dollaro» che così «arriva»: nulla lascerebbe presagire che i massicci investimenti previsti vadano a migliorare sensibilmente il Servizio Clienti della compagnia

experienceVero è, da un lato, che tanto il capo comunicazione di Comcast, D’Arcy Rudnay, quanto il senior vice president del settore Customer Experience, Tom Karinshak, hanno ribadito: «Migliorare il Servizio Clienti è la nostra priorità n. 1. Continueremo a lavorarci, come sempre fatto in passato: è essenziale per la soddisfazione dei nostri clienti». È in atto inoltre un consistente sforzo di trasformazione dei Call Center in «Centri d’Eccellenza», con un nuovo sistema universale di risoluzione dei problemi, che dovrebbe ridurre i frustranti errori commessi talora dagli operatori.

Due miliardi l’anno la somma investita da Comcast per il Servizio Clienti: «dove andranno a finire?», ci sarebbe da chiedersi. Perché dall’altro lato, infatti, proprio il Customer Care – specie quello online – sembrano fantascienza: un film del terrore che non accenna a voler cambiare trama.

«Non stiamo certo promettendo che le bollette dei clienti caleranno, o che cresceranno meno rapidamente», ha messo in chiaro David Cohen, Executive Vice President. Se le cose stanno così, allora, è vero che Comcast «non sta crescendo per procurare ai clienti servizi più rapidi, meno costosi, in generale migliori», ha dichiarato a The Verge un ex manager della compagnia, che ha lavorato ai servizi di billing fra il 2008 e il 2013. «Sta crescendo per pura mania di grandezza. Come dire “Ho 10 negozi in centro e ora voglio anche l’11esimo”. Ecco, forse faresti meglio a tener puliti i 10 che hai».

Un’estate calda, insomma, per un’azienda che sta precipitando in Brand Reputation “solo” perché non si decide a migliorare uno – uno solo ma decisivo – tra i suoi settori di competenza: quello del Customer Care. Basterebbe una seria discesa in campo social a migliorare le cose: un tweet – se ben assestato – allunga la vita.

 

 

 

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