Epistemologia dell’Agenda

Con una impressionante propensione al tafazzismo, secondi solamente a un noto partito politico italiano campione mondiale della categoria, noi del meraviglioso mondo dell’agenda digitale ci stiamo applicando con encomiabile determinazione nell’arte del farci del male da soli. Da “Digital Venice” ad oggi (e sono passati solamente tre mesi, giorno più giorno meno) è tutto un fiorire di critiche, di sfottò, di Oriazi contro Curiazi. Pippo chissà se ha la laurea, Pluto è inadatto, Paperino è amico di Pluto, eccetera. I saggi non sono saggi, il champion non va bene, è tutto sbagliato è tutto da rifare. E poi, le risse. I pro e i contro della PEC, l’open source contro il closed source, Java versus Cobol, Cloud o Non Cloud questo è il dilemma.

futureIndovina, a questo punto, chi vince. Quelli che hanno tutto da perdere se vedi mai il “partito del digitale” prendesse davvero piede. Quelli della marca da bollo e della ceralacca, quelli del “te la sblocco io, la tua pratica”, quelli dei congressi sulla centralità dell’eggovernment (e poi di cosa campo, se davvero lo si realizza?). E li vedi tutti i giorni, questi signori: sono quelli che intervengono frapponendo considerazioni e pareri giuridici sull’inapplicabilità di tale o tal altra norma, quelli che se la ridono sotto i baffi del “finché litigate fra di voi, noi campiamo alla stragrande”. Quelli che giocano a ping-pong coi decreti attuativi: un passaggio qua, un passaggio là, un parere qui, un visto lì, e intanto passano i mesi e non se ne viene a capo.

E intanto noi, tutti su Facebook a sfottere Tizio e Sempronio (Caio non lo cito, per ovvii motivi). Quelli che “se c’ero io, a quest’ora …”; quelli che “io c’ero, poi me ne sono andato perché ho sentito puzza”; quelli che “è tutto un magna-magna”; quelli che “dilettanti allo sbaraglio”. Prevale l’approccio del parlarsi addosso, o nella migliore delle ipotesi del parlare per circoli chiusi.

E così, la casalinga di Voghera e il mio elettrauto continuano a non capire cosa accidenti è l’agenda digitale, a cosa serve, come può aiutarli semplificando loro la vita e – magari – offrendo loro qualche nuova opportunità di business. Parliamo tra noi di telemedicina, così mia zia non saprà mai a cosa potrebbe servirle. Eccetera.

Persino sul tema del testo scolastico digitale, siamo riusciti a farci del male da soli. Piuttosto che remare tutti quanti nella stessa direzione, magari ricorrendo anche a “trucchi del mestiere” tipo aizzare le mamme con la scusa dello zaino pesantissimo, ci siamo messi a litigare sul tipo di piattaforma e a insinuare il dubbio “che forse è meglio il testo cartaceo”. Oppure, il capolavoro del “Ok, ma chi li paga i tablet per i ragazzi?” quando persino un bambino piccolo è in grado di capire che un tablet costa molto meno di quanto costano i libri di testo cartacei.

A questo punto, parte in automatico la madre di tutti i rimbrotti: “Ehi, PCF, tu come al solito la fai troppo facile”. Bene. Sapete a questo punto che c’è? C’è che da oggi in poi risponderò “Sì, perché è facile davvero”.

Facile come è stato facile capire che non era la Terra a girare intorno al Sole. E’ bastato decidere di alzare il naso all’insù e guardare. Avrebbe aiutato molto, questo è vero, se non avessero arsi vivi quelli che avevano cominciato a dubitare del dogma. Ma comunque, al netto di qualche presunto eretico finito in barbecue, ce l’hanno fatta.

Facile come è facile capire a chi questa storia dell’agenda digitale sta sul gozzo. Arrendetevi: siete circondati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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