“L’Università deve essere motore centrale dell’innovazione perché non solo produce ricerca ma trasferisce contenuti innovativi agli studenti che a loro volta ne saranno portatori nel mondo del lavoro.” Tiziana Catarci, professore ordinario di Sistemi ed Elaborazione delle Informazioni de La Sapienza, attualmente candidata alla carica di Rettore nella medesima università, ha le idee chiare su quale sia il ruolo della ricerca e dell’università nei processi di innovazione di cui necessita il nostro Paese.
Una università che deve essere pronta ad affrontare le sfide, anche quelle più dure come i progressivi tagli operati in questi anni, “aprendosi all’esterno, facendo vedere il ruolo dell’università nel Paese.” Ma sono tutti gli attori in gioco, in questo sistema che per funzionare ha bisogno di sinergie, a doversi impegnare: l’università, ma anche le imprese e la Pa. Tutte, ad oggi, soffrono di problemi che finiscono per avere ricadute a cascata sulle altre.
“Ad esempio a differenza di altri paesi come l’America –spiega- dove c’è rapporto forte tra le grandi università e le aziende, in termini di fondi che ricevono gli istituti ma anche collaborazioni e progetti comuni, i laureati sono inseritissimi nel mondo del lavoro e i PhD, chi vanta dottorati, sono considerati punte di diamante mentre da noi il canale dei dottorati è visto come mezzo per l’ingresso nel mondo universitario o al più nella Pa, ma nulla più.” Anche dal lato imprenditoriale non è tutta rose e fiori con molte aziende che mostrano difficoltà a recepire l’innovazione, a collocarla: “nel nostro Dipartimento di ingegneria informatica abbiamo molti studenti che aprono imprese e si nota nettamente una differenza tra chi apre attività più tradizionali e chi apre startup fortemente innovative. Le prime non hanno grossi problemi, le seconde hanno enormi difficoltà. Questo perché manca, in molti casi, il tessuto industriale che sappia fare sua anche le idee più piccole ma dalla forte carica di innovazione.”
E senza realtà stabili che facciano decollare la nuova imprenditorialità non si va avanti: “Stiamo vedendo anche i primi esperimenti di startup che nascono in ambito in universitario, cosa giustissima perchè sono incubatori naturali di imprenditorialità giovanile, ma poi servono realtà più stabili per farli decollare”. E servono anche “Venture capitalist: un Usa sono assai presenti, da noi sono ancora di nicchia.” In sintesi oggi abbiamo un panorama che crea “tante parole per l’innovazione per giovani e poca sostanza.”
In uno scenario di questo tipo ciò che l’università può e deve fare per promuovere l’innovazione è dare sempre più ai giovani competenze
integrate che parlino di innovazione anche se si segue un corso di laurea apparentemente distante da questi temi. “Serve ricerca multidisciplinare con formazione interdisciplinare. L’innovazione non è solo web e internet, è sempre più in tutti gli altri settori.” Per questo motivo bisogna “coniugare le tecnologie anche con le materie umanistiche, creare figure di architetti nuovi per le smart city, ad esempio. C’è tanto da fare e le Università si devono attrezzare anche nella prospettiva di creare un legame solido con le imprese.”
L’università come può muoversi per affrontare tutte queste sfide? Sfortunatamente dopo le varie riforme, spiega la prof.ssa Catarci “si è ingabbiati però spazio per creare percorsi ad hoc multidisciplinari c’è. Ad esempio, nei limiti di quello che si può fare per legge, si possono usare le parti libere dei percorsi formativi degli studenti per definire percorsi congrui che guardino alle nuove professionalità e competenze innovative; creare corsi ulteriori che facciano da trait d’union con le tradizionali discipline. Ma ovviamente la migliore cosa resta la connessione con l’impresa: si pensi allo stage. Nato tra mille buoni auspici oggi è così complesso da essere svilente per gli studenti mentre andrebbe rivitalizzato come un vero strumento di primo inserimento in uscita.”
Resta, ovviamente, il peso non indifferente della mancanza di risorse e dei continui alla spesa che finiscono per gravare sull’intero impianto universitario: “Ed è qui che la pubblica amministrazione, le regioni in primis, dovrebbero agire da facilitatori: puntare sulla ricerca e sull’Università come fanno tutti i paesi del mondo.” Università con l’impresa e insieme con la Pa: è l’unico circolo virtuoso che può far ripartire il Paese.
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