Elegia del fare. 1: Partiamo dai Comuni

Abbastanza stanco di assistere a questa assurda guerra dei poveri, dove ormai si fa quotidianamente la gara a chi sarebbe stato più bravo se soltanto avessero scelto lui a capo dell’AgID o di uno dei tanti tavoli e tavolini, dove ogni giorno ci tocca leggere l’ennesima critica o l’ennesimo gossip (“sai, pare che Tizio in terza elementare abbia preso un 2 di aritmetica”) e dove davvero non se ne può più di gente che si parla addosso dando vita a business improbabili tipo quelle meravigliose “cene di relazione” (vendute come tali!) dove il gioco è “tu mi paghi, io ti faccio mangiare il pollo al curry vicino al CIO di tal ministero”, inauguro una serie di articoli dedicati all’elegia del fare.

make_logo_rgbLo spunto me lo dà indirettamente la Maker Faire di Roma: un posto dove vedi di tutto (compreso anche l’inevitabile improbabile) tranne che la gente che si parla addosso, il “programma congressuale”, le “occasioni per incrementare il suo business stando fianco a fianco coi decisori e coi detentori dei budget”. Un posto dove l’unico verbo ammesso è “fare”. Perché di “dire”, francamente, ne abbiamo piene quelle che educatamente ci ostiniamo a chiamare tasche anche se la loro forma è decisamente più sferica.

Lo spunto me lo dà anche la recente uscita del Sottosegretario Delrio, quella della “governance da manicomio”. Una battuta difficile da capire, se partiamo dall’assunto che tutte le nomine ai vertici del digitale sono partite da quel fazzoletto di terra compreso fra Palazzo Chigi e Palazzo Vidoni e che siamo praticamente appena usciti da tre anni di completo oblio dovuto – mi perdoni il Sottosegretario – anche alla totale assenza della politica.

Proviamo a “fare”, quindi. E proviamo a partire dai Comuni. Che sono, è scontato dirlo, l’anello debole del problema. Più di 8.000 amministrazioni, un fiorire di sistemi informativi nati da un mix di “fantasia al potere” e “fornitori all’arrembaggio”. Anello debole ma anche terminale rispetto alla filiera della PA: è lì che, bene o male, atterrano tutte le istanze dei cittadini. Ed è lì che i cittadini dovrebbero trovare la soluzione ai loro problemi.
E fin qui, stiamo ancora parlando: il “dire”.
Passiamo al “fare”. E proviamo a partire da quello che abbiamo a disposizione.
Ancitel, ad esempio. Una società controllata da ANCI che da qualche tempo manifesta difficoltà e pare non riuscire a trovare la strada per il rilancio, dopo aver tentato di giocare il jolly della privatizzazione. Una situazione non dissimile da quella di alcune (non tutte!) società ICT “in-house” possedute dalle Regioni.

Cosa possiamo “fare”, con Ancitel? Per comprenderlo, occorre prima inquadrare il fenomeno.

3-Innovation-GrowthAncitel nacque per rispondere a un’esigenza precisa: mettere in rete i Comuni, quando “rete” era un termine da pionieri. Chi la volle e la fece nascere aveva in mente un modello preciso e vincente: condividere dati, esperienze, iniziative, e da qui innescare un circuito virtuoso di innovazione.
Il modello di business, sintetizzato all’estremo, era: ciascuno degli 8.000 Comuni ci dà 1.000 euro, e con 8 milioni di Euro di cose ne facciamo un sacco.
Poi arrivarono quelle che possiamo definire “le tentazioni semplificatorie”: perché affannarsi e dannarsi l’anima per portare a casa ricavi dai Comuni associati, quando è così maledettamente più semplice campare di progetti finanziati?
Ecco che Ancitel si trasforma da service provider a fabbrica di progetti finanziati: fondi ANCI, fondi del Viminale, fondi europei. Tutto perfetto, fino a quando i fondi ci sono. Poi, inevitabilmente, il giocattolo si rompe.
E si tenta la carta della privatizzazione. La quale, paradossalmente, potrebbe essere la carta vincente. Se soltanto si decidesse di giocarla in modo trasparente. Una gara europea, tanto per essere chiari.
Ma altrettanto vincente potrebbe essere la carta specularmente opposta: mantenere Ancitel una SpA pubblica, trasformandola nel data center dei Comuni.
Stipulando un patto forte con tutti i maggiori produttori di software applicativo per i Comuni stessi. Arrivando, magari, a farli entrare (tutti! non solamente uno …) nel capitale sociale. Soci di minoranza finché si vuole, ma soci. Corresponsabilizzati rispetto a quella azione di convergenza sul data center “specializzato” per i Comuni.
Una Ancitel che arrivi persino a certificare i fornitori di software per i Comuni, garantendo la più assoluta e totale interoperabilità. Chi ci sta ci sta, chi non ci sta è fuori dal mercato.

Ecco: “fare” è questo. Superare la celebrazione del rito di assunzione di consapevolezza del problema e arrivare al trovare le soluzioni.
Tutto il resto è noia, workshop e tartina post-congressuale.

 

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