Scott Emerson: il ministro che faceva i quiz su Facebook

Su Facebook, un Like è un Like. Sia che si decida di cominciare a seguire Leonardo Di Caprio, il brand dei nostri biscotti preferiti o il sindaco della nostra città, il sistema si comporta allo stesso modo: comincia a mostrarci tutti i contenuti via via pubblicati su quella pagina, così come sono stati pensati e sviluppati dal social media manager. Un Like è un Like, certo, ma ciascuno di noi decide di cominciare a seguire un brand o un personaggio pubblico per un motivo ben preciso. Spesso non ci si sta a ragionare sopra più di tanto, ma è chiaro che la nostra fruizione dei contenuti che ci arrivano da una pagina come “Coccole e gattini” è molto diversa da quella che riserviamo agli aggiornamenti di stato di Matteo Renzi.

Quando decidiamo di seguire un brand o un personaggio pubblico su Facebook, lo possiamo fare per molti motivi diversi: perché quel brand o personaggio ci piace e vogliamo essere sempre aggiornati su tutte le novità che lo riguardano (Leonardo Di Caprio), perché quella pagina ci propone contenuti divertenti (Coccole e Gattini) o perché vogliamo essere sempre informati su un preciso argomento, e i social media sono il mezzo migliore per farlo in modo tempestivo. Questo è il caso, ad esempio, delle pagine Facebook dedicate ai servizi – tipo quelle delle aziende dei trasporti pubblici – ma anche quelle dei personaggi politici. Quando un utente comincia a seguire la pagina della rete della metropolitana di Milano lo fa mosso da una necessità precisa: essere informato su quello che succede alla viabilità dei mezzi pubblici. Allo stesso modo, chi “fa Like” sulla pagina di un personaggio politico lo fa aspettandosi di leggere contenuti “istituzionali”, presentati con uno stile più o meno formale. E, va da sé, non è detto che quel “Mi Piace” rappresenti anche un giudizio di valore anche sul politico stesso.

Per questo è importante saper adeguare il modo di comunicare al contesto, ma soprattutto al ruolo che si ricopre: chi segue un politico su Facebook vuole essere informato, non intrattenuto. E mettere in atto espedienti da “Coccole e Gattini” quando a parlare è una figura istituzionale può finire male.

È quello che è successo a Scott Emerson, ministro dei Trasporti dello stato australiano del Queensland, in Australia. Come molti politici e membri di governo di tutto il mondo, anche il ministro Emerson ha una pagina Facebook che usa per comunicare ai cittadini informazioni e notizie che riguardano la viabilità, i trasporti pubblici, le modifiche al codice della strada e così via. Ma, appena qualche giorno fa, qualcosa è andato storto.

Il 10 ottobre il ministro Emerson ha pubblicato sulla propria pagina Facebook una foto che lo immortala in un magazzino, circondato da scatoloni di varie forme e dimensioni, mentre regge tra le mani un non meglio identificato device elettronico ancora confezionato che somiglia a un GPS. Accanto al suo bel sorriso Durban’s il ministro scrive:

Qualcosa di veramente eccitante sta per arrivare sui mezzi pubblici. Chi indovina cos’è?

Emerson

[Facebook/Scott Emerson]

Come si scoprirà poi, si tratta appunto di un nuovo sistema gps pronto per essere installato su tutti i mezzi pubblici dello stato dell’area del South East Queensland, che permette agli utenti di controllare in tempo reale, attraverso un’app per smartphone o via web, l’esatta posizione del bus, del treno, del tram o del traghetto che stanno aspettando.

Ma quello stile alla Chi sa chi lo sa? Scelto dal ministro Emerson per annunciare la novità non è per niente piaciuto ai suoi follower che, subito, hanno cominciato a “tirare a indovinare” su cosa potesse essere il misterioso aggeggio. Ma non nel modo in cui Emerson si sarebbe aspettato.

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E ancora:

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Come già in altri casi prima di questo, una domanda apparentemente innocua e un po’ gigiona è stata la molla che ha fatto scattare la reazione degli utenti/cittadini/follower, i quali hanno preso la palla al balzo per far sapere al ministro le proprie rimostranze del servizio di trasporti pubblici della propria area. I toni sono sarcastici e molto taglienti: tutti hanno “tirato a indovinare” su cosa potesse essere quel device, tirando in ballo tutti i problemi cronici dei mezzi pubblici, in parte causati anche dalla governance dello stesso Emerson. Così, quel gps è diventato di volta in volta un “sistema per integrare i vari abbonamenti senza rubare soldi ai contribuenti onesti”, un “nuovo sistema tariffario per abbassare i prezzi dei biglietti dei mezzi pubblici” o un “distributore automatico di preservativi”, perché evidentemente anche nel South East Queensland i mezzi pubblici non sarebbero particolarmente sicuri. Fino alle “tabelle degli orari per gli autisti” e “l’autobus che sto aspettando da tre ore” (a quanto pare tutto il mondo è paese) e per finire anche uno splendido: “È un computer con la tua lettera di dimissioni”.

I frizzi e i lazzi contro il ministro Emerson e il suo quiz continuano per centinaia di commenti, e, diciamocelo, un po’ se l’è cercata. Non solo perché quello dei mezzi pubblici di una città è un tema caldo a ogni latitudine, ma anche perché Emerson è caduto nella solita trappola dei social media: voler coinvolgere a tutti i costi gli utenti, permettendo loro di prendere il timone della comunicazione. E questo è un errore in cui tanti brand e personaggi pubblici sono caduti: non ultimi British Gas, Volkswagen, e anche Samsung, che un paio di anni fa aveva chiesto ai propri follower cosa avrebbero voluto portare su un isola deserta e questi in massa avevano risposto “il mio iPhone”.

Nel caso di Scott Emerson la faccenda è ancora più evidente: i suoi follower non hanno gradito di essere trattati come se fossero spettatori di un quiz principalmente perché da un politico gli utenti si aspettano notizie, non intrattenimento. Se lo stesso giochino di “indovinate cos’è” fosse arrivato da un brand di elettronica è probabile che avrebbe riscosso un enorme successo. Ma Emerson è una figura istituzionale, un ministro, e il fatto che stesse comunicando qualcosa su Facebook non lo autorizza a non rispettare i tempi e i modi della comunicazione previsti dal suo ruolo. È come se fosse andato in Parlamento reggendo in mano il GPS e avesse cominciato a chiedere agli altri ministri: Dai, finché non indovinate voi io non vi dico a cosa serve questo affare.

Stimolare l’engagement e l’interazione degli utenti sembra essere il fine ultimo di chi gestisce una pagina Facebook, ma non sempre provocare a tutti i costi la reazione dei propri follower si rivela utile, soprattutto quando lo scopo di quella conversazione su Facebook è comunicare qualcosa e non vendere qualcosa.

Infine, il ministro Emerson sembra aver dimenticato una delle prime regole dei social network: se metto “Mi Piace” alla tua pagina non è detto che tu mi piaci e che io sia un tuo seguace nel senso stretto del termine. E questo vale in particolar modo quando si parla di personaggi politici e istituzionali: nella maggior parte dei casi, quel “Like” risponde all’esigenza di essere informato più che alla volontà di esprimere un reale apprezzamento al personaggio in questione. Di questo tutti i brand e i personaggi pubblici dovrebbero esserne consapevoli, per non commettere l’errore di trattare i propri follower come se fossero amici, perché, in realtà, non lo sono.

Lesson Learned: Sii coerente al tuo ruolo: non sempre la stessa “ricetta” per comunicare sui social media va bene per tutti. Specialmente se il motivo per cui comunichi su Facebook è informare il tuo pubblico, non giocare con lui. 

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