Standard, e non più standard

Il mercato delle suite per la produttività vale qualche decina di miliardi di dollari, ed è quasi tutto appannaggio di un’unica azienda (di cui non è difficile indovinare il nome). Apparentemente, sembra un mercato privo di interesse, perché si tratta di software intorno a cui è difficile fare innovazione – il che è assolutamente vero – ma come sempre c’è un ma… Infatti, si tratta di un mercato in cui l’azienda leader ha margini probabilmente superiori al 75%, ed è disposta a fare di tutto – o quasi – per difenderli (probabilmente, se fossi nella stessa posizione lo farei anch’io).

standardOggi, l’offerta delle costose suite di produttività proprietarie viene messa a rischio dalla presenza di alternative open source talmente valide da essere adottate anche da grandi organizzazioni come il Governo Francese, la Generalitat Valenciana in Spagna, il Ministero della Difesa in Olanda, e gli Ospedali di Copenhagen, tutte con decine – o centinaia – di migliaia di utenti. Parlo, ovviamente, di LibreOffice, la suite libera per ufficio che ho contribuito a far nascere dalle ceneri di OOo.

Quindi, la competizione si è spostata dal software al formato dei documenti, e per questo è diventata molto più sofisticata e “sottile”. Infatti, se passare da un office a un altro office, libero e quindi anche gratuito, perché alla fine fanno le stesse cose, è una decisione facile, abbandonare vent’anni di documenti è molto più complesso e faticoso.

Naturalmente, gli approcci al problema del formato documenti sono stati diversi:

  • la suite proprietaria ha proposto un formato con una facciata standard e un cuore proprietario, con l’obiettivo di perpetuare il lock-in (se il formato è molto difficile da gestire per le altre suite, gli utenti continueranno a usare – volenti o nolenti – la suite proprietaria, perché sarà l’unica a leggere e scrivere tutti i documenti): questo formato si chiama Office Open XML, abbreviato in OOXML, con le estensioni DOCX, XLSX e PPTX;
  • le suite libere hanno proposto un formato veramente standard, fuori e dentro, con l’obiettivo di liberare gli utenti da qualsiasi condizionamento, dato che il formato è stato studiato per essere implementato da tutti e non solo da coloro che conoscono i suoi segreti (se il formato è facile da gestire per tutte le suite, il vantaggio è solo per l’utente, che avrà la possibilità di scegliere tra un gran numero di applicazioni quella che meglio risponde alle sue specifiche esigenze): questo formato si chiama Open Document Format, abbreviato in ODF, con le estensioni ODT, ODS e ODP.

Purtroppo, gli autori della suite proprietaria hanno voluto rafforzare la strategia di lock-in, e per farlo hanno fatto in modo che ogni versione del software gestisse un formato “standard” diverso e di volta in volta incompatibile con le altre versioni, e quando – dopo 6 anni – sono stati costretti dalla storia a gestire il formato standard hanno fatto in modo che fosse l’utente a determinarlo con il suo comportamento (in modo tale da evitare, visto che si tratta di un comportamento non standard, di correre il rischio di produrre documenti in formato standard).

Certo, dopo vent’anni di documenti in formato proprietario, gli utenti pensano che si tratti di un formato standard (anche per la malefica introduzione del concetto di standard “de facto”), e quindi percepiscono come un problema la migrazione a un formato standard, perché non sono stati educati a comprenderne i vantaggi.

Eppure i vantaggi sono chiari, come possono testimoniare sia gli utenti delle suite libere sia di tutti gli altri software che adottano ODF (oltre 140, compresa l’ultima versione della suite proprietaria), e sono la possibilità di interoperare – ovvero, di lavorare meglio insieme, in modo trasparente – senza pensare all’interoperabilità, perché ci pensa il software attraverso il formato standard – scambiando documenti che rispecchiano sempre l’originale (perché uno standard è uno standard).

Il Governo del Regno Unito, che ha compreso questi vantaggi, e ha compreso che solo adottando lo standard è possibile garantire l’interoperabilità, dopo una lunga consultazione – in cui non sono mancati i tentativi di forzare la decisione, agendo direttamente sugli uomini politici – ha deciso a favore di ODF.

Al contrario, il Governo Italiano – dove manca quella competenza sugli standard che è stata creata all’interno del Governo del Regno Unito – ha appena pubblicato un documento in cui affianca lo standard ODF al non standard OOXML, per cui – oltre a facilitare la perpetuazione del lock-in – continua a dar voce a coloro che la voce non dovrebbero averla, facendo un grosso dispetto a tutti i cittadini (perché l’assenza di interoperabilità ha un costo per la comunità, e quindi per ciascuno di noi, compresi quelli che pensano che mantenere lo standard “de facto” sia meglio che migrare al “vero” standard).

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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