Banda larga dove “c’è gente”, o “c’è gente” dove c’è (anche) banda larga?

Qualche giorno fa, discutevo con alcune persone di un tema alquanto “vecchio”: a che serve la banda larga (e ultra larga) e, soprattutto, va sviluppata anche in assenza di una domanda forte/sufficiente? È un dubbio che periodicamente viene (ri)sollevato e attorno al quale non si riesce a consolidare una visione condivisa e convinta. Purtroppo, spendiamo tempo e energie in una discussione senza fine, mentre nel frattempo il nostro Paese continua a lamentare un crescente ritardo nella diffusione della banda (ultra) larga rispetto ad altre nazioni e aree geografiche che su questo tema “corrono”. E le conseguenze di questo ritardo si fanno sempre pù sentire sul nostro sviluppo sociale ed economico.

E se rovesciassimo il punto di vista?

banda largaDurante la discussione, uno dei miei interlocutori ha affermato con forza “ma a che serve portare la banda larga (e ultra larga) dove non c’è gente o dove non c’è domanda sufficiente, magari in una sperduta valle di montagna? È ovvio che in questi casi non serve portare la banda larga. Sarebbe uno spreco.” Raccontata così non ho dubbi che si tratterebbe di una scelta folle e senza senso. Ma la questione è più complessa di cosìO forse, semplicemente va vista da un punto di vista radicalmente differente!

Proprio in quei giorni mi avevano colpito due notizie:

  • Un operatore dei trasporti mi ha confermato che, in base alle loro indagini, la disponibilità di una connessione WiFi efficiente a bordo dei propri mezzi è uno dei principali fattori di scelta del viaggiatore
  • Un’altra indagine internazionale segnala che la disponibilità di WiFi è uno dei principali fattori di scelta di un hotel e di un luogo di vacanze.

Pensavo ai meravigliosi luoghi che abbiamo in Italia e agli infiniti “moniti” che facciamo per promuovere il turismo come strumento e mezzo di promozione e valorizzazione dei nostri territori. Non sarà che uno dei motivi della loro debolezza (non l’unico!) è proprio riconducibile alle loro debolezze infrastrutturali nel campo del digitale?

Ecco quindi il senso del titolo di questo post:

Banda larga dove “c’è gente”,
o “c’è gente” dove c’è (anche) banda larga?

In altre parole, dobbiamo rovesciare la logica del nostro ragionamento:la banda larga è un fattore abilitante e attrattivo, e non solo un servizio da portare là dove ci sono già persone e realtà consolidate. Oggi persone e aziende non vanno nei luoghi dove non c’è banda larga, anzi se appena possono se ne allontanano! È quello che ho visto in alcune aree del Nord (specialmente Nordest) dove amministratori pubblici e rappresentanti del mondo industriale mi dicevano che l’assenza di banda larga obbliga le aziende a spostarsi: banalmente, come possono interagire con clienti e fornitori, magari in giro per il mondo, in assenza di una adeguata banda trasmissiva?

I tempi di sviluppo delle infrastrutture sono lunghi

Il ragionamento va ulteriormente esteso tenendo conto del fattore tempo.

La banda larga è una infrastruttura pervasiva e complessa che richiedeinvestimenti e tempi di sviluppo significativi, specialmente per quel che concerne l’ultimo miglio, cioè il tratto di infrastruttura che interconnette la singola abitazione o costruzione con la centrale telefonica più vicina. Non ci si può illudere che l’offerta di banda larga sia disponibile istantaneamente nel momento in cui la domanda in un qualche modo si manifesta. Anzi,come può manifestarsi la domanda in assenza di infrastrutture di rete adeguate? Come può, per esempio, una azienda comprare un sistema di teleconferenza o un privato fare un abbonamento al cinema on-demand in assenza di banda larga? E si può pensare di portare la banda larga “non appena l’utente fa domanda del cinema on-demand”? Ovviamente no.

La rete deve preesistere all’offerta dei servizi, 
così come accade per ogni infrastruttura critica.

Come sviluppare, testare e mettere in esercizio servizi evoluti?

collaborationQuesto ragionamento può essere ulteriormente esteso e arricchito. Supponiamo di voler sviluppare servizi evoluti di assistenza domiciliare e di sanità a distanza per un territorio montano e che tale servizio abbia bisogno, ovviamente, della banda larga per essere messo in campo. Come si procede? Si sviluppa prima tutto il servizio “in laboratorio”? E lo si vende ai potenziali utenti presentandolo “sulla carta” o collegati con una chiavetta USB? Ma quindi almeno la banda larga wireless deve esistere! E una connessione 3G (quando c’è!) è sufficiente per sviluppare e mostrare certi servizi? E verrà mai messa in esercizio in quell’area, per il solito ragionamento, una rete 4G o la stessa 3G in assenza di servizi? E quando si costruiscono le reti realmente necessarie? Quando tutti o un numero di sufficiente di utenti ha aderito “sulla carta”? Come si può sviluppare, testare, gestire e vendere un servizio se non in campo, usando le risorse infrastrutturali necessarie? 

È la storia di Internet:
si è sviluppata “dal basso” come straordinaria infrastruttura abilitante sotto i nostri occhi negli ultimi 40 anni. E dopo tutto quello che è successo, ancora non siamo capaci di riconoscere e fare nostra la lezione che essa continuamente ci propone e testimonia!

Quando, come e dove investire?

Ma quindi come si risponde a questa sfida senza correre il rischio di investire inutilmente miliardi di euro in infrastrutture che rimangono inutilizzate o sottoutilizzate?
Provo a rispondere riprendendo alcuni punti che sono stati già riproposti varie volte, ma che, evidentemente, risultatano o poco convincenti o poco compresi.

Va cercata la domanda latente, non la sola domanda!

A mio giudizio, il punto chiave sul quale siamo arenati è una confusione e un fraintendimento di fondo. È ovvio che bisogna offrire servizi laddove c’è qualcuno che li voglia utilizzare. Ma è necessario rileggere in modo lungimirante e saggio questo tema.

In questo tempo, con le dinamiche che oggi viviamo, con la competizione internazionale che ci assale su tutti i fronti non è più possibile aspettare che la domanda si manifesti nella sua completezza. L’elemento chiave sul quale basare moderne strategie di intervento e sviluppo è riconoscere, identificare e soddisfare “al momento giusto” la domanda latente.

Per fare un esempio di una infrastruttura diversa dalle reti, non è che la navi porta container si sono appostate al largo di Gioia Tauro chiedendo a gran voce che venisse costruito un porto! Il porto esisteva, magari per motivi e scelte non condivisibili, ma esisteva. Essendo disponibile lo si è potuto utilizzare per rispondere ad un bisogno latente che non trovava sbocco: un luogo al centro del Mediterraneo che permettesse una gestione più efficiente del traffico container. Si potrà dire che in questo caso si è trattato di una circostanza fortunata e un investimento messo in campo in modo forse inconsapevole e persino incosciente. Può essere vero, ma ciò non toglie che la dinamica sia esattamente quella discussa in precedenza: la disponibilità dell’infrastruttura ha incontrato una domanda latente che si è potuta così manifestare e pienamente sviluppare.

È questa la strategia che dovremmo adottare:
identificare le potenzialità, vocazioni e opportunità offerte dai diversi territori e correlarle con la domanda latente.

Deve esserci un investimento misto pubblico/privato

Questo è forse il tema sul quale si è giunti ad un ragionevole grado di condivisione. Le reti sono servizi che devono essere offerti dalle imprese private secondo regole di mercato. Il ruolo del pubblico deve essere limitato alle tematiche di sua stretta competenza:

  • Definizione di regole pro-competitive e pro-concorrenziali.
  • Tutela dei consumatori.
  • Sviluppo delle competenze, educazione e formazione.
  • Innovazione delle amministrazioni pubbliche come ulteriore elemento che rafforzi la domanda.
  • Investimenti infrastrutturali nelle aree a fallimento di mercato.

In altre parole, uno scenario per certi versi ovvio:
lo Stato fa bene lo Stato e le imprese fanno bene le imprese.

Dove?

In generale, ci sono aree dove il mercato e le imprese stanno già operando. In questo caso, il pubblico deve mettere in campo azioni che accompagnino e promuovano quanto il mercato spontaneamente ha già avviato.
Esistono invece altre aree del paese dove questo non basta. In questi casi, è necessario che ci sia una visione strategica della Politica (con la “P” maiuscola). Essa dovrebbe analizzare le caratteristiche, peculiarità, punti di forza e ambizioni dei diversi territori e impostare strategie di sviluppo conseguenti.

Alcuni esempi:

  • Distretti (industriali, artigiani, tipici del territorio).
  • Luoghi a forte vocazione turistica o con grandi potenzialità ancora inespresse per quanto concerne la qualità della vita, delle bellezze naturali e della tradizione culinaria e alimentare.
  • Territori da rendere attrattivi e da rivitalizzareL’esperienza di Andrea Pontremoli nelle valli del Parmense è da questo punto di vista esemplare.

Non si tratta di “seminare nel deserto” o di costruire in modo indifferenziato cattedrali e infrastrutture “in the middle of nowhere”. Dobbiamo puntare ad uno sviluppo olistico, originale e mirato dei territori che sfrutti le tecnologie e reti per compensare i limiti e gli elementi di debolezza di ciascuna area del Paese e, al tempo stesso, per promuoverne e rafforzarne quelli di forza.

Solo fibra?

banda_larga_fondiCome intervenire? Sviluppando solo reti in fibra? Oppure ricercando strategie miste?
Certamente non dobbiamo essere condizionati dalle legacy del passato (le reti in rame che esistono già) né da mode o ideologie del momento. Esistono una molteplicità di tecnologie che si possono utilizzare, wireless e wireline, e vanno sfruttate al meglio in funzione delle caratteristiche dei territori e delle popolazioni che su di essi vivono. È indubbio, peraltro, che dobbiamo immaginare soluzioni “future proof”, che possano cioè accompagnarci in modo incrementale e evolutivo nel corso dei prossimi decenni.

Attrattività, sviluppo e crescita

In generale, la banda larga (e ultra larga) è solo uno dei temi infrastrutturali dove il nostro paese sconta un ritardo culturale e strategico prima ancora che economico-finanziario. È proprio la cosidetta “punta dell’iceberg”.

Viviamo sempre rincorrendo i bisogni senza mai avere la lungimiranza di identificarli, stimarli ed anticiparli per tempo. E viviamo sempre una realtà rovesciata, dove la mancanza di pianificazione e lungimiranza non fa che peggiorare la situazione, rallentando ulteriormente ogni iniziativa di sviluppo.

Non possiamo lamentarci perché “non c’è domanda, non ci sono imprese, non ci sono investimenti”: cosa facciamo noi (inteso come Paese) per rendere il territorio attrattivo per coloro che questi investimenti potrebbero fare? Aspettiamo che si manifestino le loro intenzioni per poi procedere a fare ciò che serve, la rete, gli aeroporti, le strade, i servizi alle imprese?

Non funziona così!
Le imprese, i turisti, la classe creativa, … non aspettano!
Vanno dove queste cose esistono già!
Magari a Sophia Antipolis o in Croazia o a Londra o a Singapore o in qualunque luogo di questo mondo così pervasivamente interconnesso e “globale”.

Quando lo capiremo? Quando ci renderemo conto che non possiamo aspettare? Quando capiremo che dobbiamo rischiare, investire e anticipare i tempi, certamente in modo avveduto e intelligente, ma con la consapevolezza che questa è l’unica speranza che abbiamo di dare un futuro prospero al nostro Paese e ai nostri figli?

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