Internet “sparirà” con l’Internet of Things?

Le recenti dichiarazioni rilasciate da Eric Schmidt, l’executive chairman di Google al World Economic Forum, hanno focalizzato ulteriormente l’attenzione sull’Internet of Things e su cosa significherà per il futuro della nostra società e delle nostre vite. Ma il punto è se la nostra società e l’attuale disciplina di settore siano in grado di sfruttare le immense potenzialità dell’Internet of Things.

Cosa accadrà con l’Internet of Things?

IOT

Schmidt ha dichiarato che l’Internet “will disappear” in futuro precisando poi che, con l’avvento dell’Internet of Things, Internet ci circonderà in ogni momento della nostra vita. Per esempio ci saranno stanze “dinamiche” in cui un individuo “interagirà” con ogni cosa che accade nella stessa.

L’avvento dell’Internet of Things comporterà che tramite le wearable technologies, gli oggetti della nostra smart home, i dispositivi di telemedicina/eHealth e gli apparati delle smart city in cui circoleremo con le nostre connected car e riceveremo la nostra posta tramite i droni saremo circondati da sensori che raccoglieranno dati sulle nostre abitudini e salute, il luogo in cui ci troviamo e qualunque cosa che ci circonda per fornire dei servizi innovativi.

Questi sensori permetteranno ai vari oggetti di comunicare tra di loro al fine di migliorare, tra gli altri, l’efficienza dei sistema sanitario e in generale dei servizi pubblici, delle nostre città, della nostra casa e dei nostri veicoli. Ne ho già parlato ripetutamente in passato. Si tratta di un mercato il cui valore è stato stimato da Cisco in 19 mila miliardi entro il 2020 e quindi entro i prossimi 5 anni! E basta pensare al risparmio che le nostre città potrebbero conseguire semplicemente monitorando le abitudini dei propri cittadini e conseguentemente parametrando la fornitura di energia e gas, il sistema di illuminazione delle strade, la gestione del traffico e perfino la raccolta dell’immondizia.

Siamo pronti per l’Internet of Things?

Il problema non è tanto se i cittadini siano pronti per l’Internet of Things, ma piuttosto se l’attuale quadro normativo lo sia.

L’approccio dell’Europa “continentale” è spesso di diffidenza rispetto ai cambiamenti “invasivi” come può essere l’avvento dell’Internet of Things. E inevitabilmente l’Internet of Things richiederà delle precauzioni al fine di proteggere la nostra privacy in un contesto in cui ogni oggetto intorno a noi cercherà di carpire informazioni su di noi. Per questo motivo i garanti privacy europei riuniti nel c.d. Article 29 Working Party hanno già espresso un parere sull’argomento. Tuttavia, questo parere applica in modo molto stringente i principi in materia di privacy creati per un mondo senza l’Internet of Things all’Internet of Things.

cambiamento

In quest’ottica si può notare una differenza di approccio tra gli Stati Uniti in cui la Federal Trade Commission ha appena emesso delle linee guida sulla regolamentazione dell’Internet of Things che riproducono in parte principi previsti dalla normativa europea, ma non dettano regole. L’approccio americano è che il mercato non è ancora maturo e che una regolamentazione non sia necessaria, lasciando quasi suggerire che una regolamentazione potrebbe essere al contrario dannosa per la crescita del mercato.

Lo stesso ragionamento però non può essere eseguito in Europa dove una normativa privacy e in materia di telecomunicazioni ad esempio è già presente. Il problema è quindi se il fenomeno dell’Internet of Things sia di dimensioni così vaste che l’approccio dei regolatori debba essere di introdurre esenzioni all’applicazione dell’attuale normativa come potrebbe accadere nei servizi relativi alle smart city e alla telemedicina prevedendo un nuovo concetto di dato personale “di interesse pubblico” o modalità pratiche di gestione degli adempimenti normativi più compatibili con le esigenze di business degli operatori.

Un’estensione del concetto di dati “anonimi” e quindi di dati non soggetti alla normativa privacy aiuterebbe ad esempio fornitori di piattaforma che potrebbero risalire all’identità di un individuo sul cui veicolo i propri clienti hanno installato un proprio dispositivo di geolocalizzazione, ma della cui identità non sono per nulla interessati in quanto questa informazione non è funzionale al servizio fornito.

Allo stesso modo, l’introduzione di modalità di fornitura dell’informativa e del consenso all’utilizzo dei propri dati personali più “pratiche” estendendo ad altri contesti l’approccio innovativo lanciato dal Garante italiano per il trattamento dei dati personali con il proprio provvedimento in materia di cookies potrebbe essere decisivo per la crescita dell’Internet of Things. Ma lo stesso principio si applica anche al settore delle telecomunicazioni ad esempio in cui l’AgCom ha appena concluso una consultazione sull’argomento i cui risultati potrebbero rappresentare un passaggio decisivo per il futuro dell’Internet of Things in Italia.

Cosa accadrebbe se non fossimo pronti? 

Il rischio che alcune tecnologie dell’Internet of Things non siano introdotte in Italia e in Europa a causa dell’attuale contesto normativo è concreto. Ho già sostenuto che la recente decisione di Google di interrompere la fornitura del servizio Google News in Spagna a seguito dell’entrata in vigore di una nuova normativa di settore è un chiaro esempio degli effetti negativi di una normativa stringente.

Una recente ricerca eseguita da Accenture prevede che il PIL degli Stati Uniti e della Svizzera aumenterà di oltre il 2% entro il 2030 grazie all’Industrial Internet of Things mentre l’Italia, la Spagna, la Russia, l’India e il Brasile avranno una crescita di gran lunga minore a causa delle più limitate capacità infrastrutturali, delle istituzioni e capacità produttive. C’è ancora tempo per smentire questa previsione, ma vista la velocità di crescita dell’Internet of Things il tempo non è molto.

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