E tu sei un troll?
«Lapidato sulla pubblica via»: ti ci sei mai ritrovato, umiliato, svergognato in piazza, pubblicamente, online o nella vita cosiddetta «reale»?… O hai mai ridotto qualcuno così?
Potresti non avere idea di come ci si senta. Il senso di vergogna, di ingiustizia subita senza motivo, in maniera del tutto pregiudizievole se non addirittura casuale, ti si pianta dentro – nel cuore, nello stomaco, nella testa.
Senza saper chi ringraziare. Senza saper soprattutto a chi, e come, chiedere il conto: perché davanti non hai «qualcuno», ma «la folla», il branco inferocito che per di più si diverte. E perché, se anche sai «chi» c’è dietro, non hai strumenti né speranze di ottenere giustizia, persino vendetta. Né più risorse personali – le hai già spese tutte, vanamente – né tantomeno legali: «le leggi son», diceva Dante, ma nessuno le applica, o quasi. E forse neanche è vero che «vi sono».
Insomma, hai ragione: ma te la tieni. Il senso d’impotenza ti pervade, ti blocca. Sai che nulla sarà più come prima. Non subito, almeno. Uno stupro di gruppo: questo è l’essere vittima di troll.
Chi c’è passato capirà. Chi invece non si riconosce nel quadro è stato così fortunato – o bravo e furbo – da non incappare, non restare mai vittima della «Tetrade Oscura»: quell’«anonimo disinibito», «narcisista, machiavellico, psicopatico, sadico» che è il disturbatore online, «The Hater». O ancora – occhio! – mica lo sarai anche tu? Non necessariamente devi averlo già “manifestato”: come tutti i bravi serial killer, forse, ti serve solo l’occasione giusta. Dentro ognuno di noi si nasconde un piccolo troll: non foss’altro che per «trollare» a propria volta i «trollatori» – chi ti ha fatto del male. Per vendicare le prepotenze personali subite e, come un novello «Giustiziere della Notte», per andare in giro surfando in Rete a farsi vendetta da solo, per sé e per tutti.
Scopri chi sei: forse è arrivata l’ora. Qui c’è un bel test che te lo dice: pubblicato da Picador in occasione dell’uscita dell’ultimo libro di Jon Ronson, famoso giornalista e autore di bestseller, tra cui «L’uomo che fissava le capre» e, appunto, anche il nuovissimo «SO YOU’VE BEEN PUBLICLY SHAMED». Un saggio davvero interessante in cui Ronson, egli stesso coinvolto in episodi di violenza on-line, studia casi di chi ha avuto la vita segnata da «walk of shame virtuali»: «La vita di queste persone è rovinata», afferma. «È un processo profondamente traumatizzante a livello psicologico».
Ecco, leggitelo proprio il libro [qui il primo capitolo]. Ronson non ha avuto problemi a trasformare la crisi in opportunità: a usare nel migliore dei modi le brutte esperienze senza tirarsi indietro, né tantomeno farsene travolgere, ma come inizio di un case study assai ricco e che arricchisce, personalmente e professionalmente.
A chi non è capitato di aver a che fare un troll, o di esserlo lui stesso, magari esasperato dalle ingiustizie, dai disservizi creatigli da questa o quell’azienda di cui è cliente e che gliene sta facendo passare di tutti colori senza assisterlo nemmeno un po’? Troll e #SocialCare vanno a braccetto. Si può essere violenti on-line anche “solo” vomitando accuse sulla fan page di questo o quel Brand, se le accuse sono ingiustificate, pregiudizievoli, e non guidate da una effettiva necessità e richiesta di assistenza. Così come il #SocialCare non è soltanto l’assistenza al cliente on-line, ma un abbraccio nemmeno troppo virtuale urbi et orbi e al proprio network – dunque anche alla «persona», in qualsivoglia situazione di difficoltà si trovi, da «persona» quale non solo è singolarmente ognuno di noi, ma il Brand stesso ha in primis l’onore l’onere di essere, specie se scende in campo social. Certo, come ricorda Wired, «a scontare le pene più grandi sono sempre gli individui». Quando il clamore si placa e «i riflettori si spengono, a farne le spese è solo il diretto interessato». Vale persino se gestisci un Brand e, mentre cerchi di aiutare, comunicare, dialogare, ti trovi in mezzo a un flame: è sbagliato, ma umano – e soprattutto al principio inevitabile – che tu ti senta toccato sul piano personale. «Come se» ce l’avessero con te. Figuriamoci poi quando ce l’hanno con te davvero: quando l’attacco «è» personale proprio.
A queste persone si è dedicato Ronson. Negli ultimi tre anni le ha incontrate: come nel caso di Justine Sacco, già responsabile delle pubbliche relazioni di una media company americana, licenziata in tronco per un tweet, certo indelicato e dai toni razzisti, lanciato giusto prima di mettersi offline per una trasvolata oceanica, e che divenne primo trending topic mondiale con l’hashtag #HasJustineLandedYet. 11 ore dopo «tutto era consumato» e lei si ritrovò la vita stravolta senza nemmeno poter ribattere o scusarsi. Giusta pena, commisurata al presunto «reato» commesso, o pilatesca tacitazione del cieco urlo del branco?
Per non parlare dei casi che non balzano agli onori della cronaca: quelli «comuni», che capitano a tanti e tante, e che sui giornali ci vanno solo quando qualche adolescente – più d’uno – si toglie la vita. È nata una «nuova era»: il «grande Rinascimento del public shaming», della «umiliazione pubblica», della mortificazione di tutti davanti a tutti. Senza un particolare criterio. Se le prese in giro, gli sbeffeggiamenti, il «mettere in mezzo», sino all’accusare e svergognare nella pubblica via, sono sempre esistiti – sin dei cortili e banchi della scuola, dal bar dello sport o le piazzette di paese – ora «è come se i media digitali avessero amplificato in modo abnorme il senso di giustizia di alcuni», aizzando gran parte del popolo del web in una corsa alla gogna mediatica senza precedenti», con «punizioni inflitte» di gran lunga «sproporzionate rispetto ai “crimini” imputati».
Come sempre diciamo, è certo questione di «educazione digitale», «educazione civica digitale». Ma anche proprio di educazione tout-court: sarebbe ora insomma che qualcuno, un bell’esame di coscienza, se lo facesse proprio.
A proposito… Il test l’hai fatto? Sei un troll? «Se lo conosci, lo eviti»: se ti conosci, ti eviti… Ti correggi, migliori. «Se lo conosci, non ti uccide». Anzi, lo fai fuori tu. Garantisco…
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