#r2b2015: Cinque C per ricostruire il ponte dell’Innovazione con Aster ed EEN

Ricordate Volunia? Sì, l’infelice iniziativa finalizzata a costruire la “google italiana” che è miseramente fallita, di fatto, prima di iniziare. Al di là delle considerazioni di dettaglio è forse l’esempio migliore per comprendere la dimensione dell’abisso che separa il nostro Paese da altri attori (primi tra tutti gli Stati Uniti ma anche il Canada, l’India, la Corea) quando si parla della costruzione di “ponti” tra il mondo della ricerca e quello del business. Ponti che talvolta – malgrado la bontà delle idee o la competenza delle singole persone coinvolte – crollano a causa di piloni fallaci. Un po’ come quelli della Palermo Catania, che ha spezzato in due la Sicilia proprio come la mancanza di strategie di supporto ai processi di sviluppo pre-competitivo spezzano in due il mondo della ricerca e quello del business.

Un ponte crollato?
Le cause del problema sono ben note.

  • Da una parte i soldi sono pochi: gli investimenti in Ricerca ed Innovazione ammontano all’1,26% del Prodotto Interno Lordo. Un dato che ci pone ben al di sotto della media europea – che è superiore al 2% – e non è comparabile a quello di paesi come gli Stati Uniti, ove gli investimenti in ricerca e sviluppo cubano oltre il 2.8% del PIL, o Giappone e Israele, ove arrivano addirittura al 3.49 ed al 4.21%.
  • Dall’altra, a fronte di centri di ricerca spesso di grande importanza, i (pochi?) fondi disponibili vengono gestiti con un rapporto di efficienza/efficacia anch’esso più che migliorabile, se consideriamo che anche un fattore come quello dell’intensità brevettuale è decisamente più basso della media europea.
  • Se a ciò si aggiunge la storica scarsa capacità dell’Italia di fare sistema e di promuovere sinergie tra le Università ed il mondo del business (cosa di cui, persa la sua focalizzazione per la ricerca sull’energia nucleare, dovrebbe istituzionalmente occuparsi l’ENEA, il che è tutto dire) il resto si può immaginare.

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se la ricerca industriale e lo sviluppo pre-competitivo non versino in buone acque. I numeri citati ed altri che se ne potrebbero citare sono una vera e propria zavorra che grava sulle spalle di quanti, a dispetto del contesto, a dispetto dell’ambiente, a dispetto di un paese che pare impermeabile all’innovazione ed al cambiamento, provano tuttavia a cambiare marcia.

Cinque “C” per ricostruirlo
Ma proprio per l’esistenza di questa zavorra è ancora più importante promuovere e supportare quanti, malgrado tutto, provano (e riescono) ad uscire dall’impasse e sviluppano iniziative e progetti. Farlo vuol dire lavorare su cinque“c”. Cinque “c” che possono contribuire ad abbattere (non certo ad annullare) il peso della zavorra: conoscenza, competenze, consapevolezza, cultura, coraggio.

  • Conoscenza delle possibilità che ci sono per chi vuole impegnarsi: a partire dai fondi disponibili (che non solo non sono pochi, ma spesso vengono drammaticamente rispediti al mittente) per arrivare alle soluzioni normative che consentono di muoversi in un contesto in cui – purtroppo – la normativa è ancora troppo spesso un vincolo ineludibile. Conoscenza dei modelli, degli strumenti, dei processi e delle opportunità che, poche o tante che siano, esistono e vanno sfruttate.
  • Competenze, che oggi sono indispensabili per agire in un contesto globale. Prime tra tutte le competenze digitali (per le quali – tanto per cambiare – l’italia è al 27° posto sui 28 paesi europei nell’Indice DESI), ma non solo. Competenze manageriali, linguistiche, metodologiche sono armi indispensabili per, appunto, “competere” ad armi pari con chi, oggi, è più avanti di noi.
  • Consapevolezza del fatto che il proprio agire non è certo svincolato dalle condizioni di contorno, ma che disponendo di conoscenza e competenze quella dell’innovazione è una sfida possibile.
  • Cultura, perchè in ultima analisi il problema è prima di tutto culturale. Il nostro Paese, di Poeti, Santi e Navigatori non è un paese di Innovatori. Siamo forse innovativi, convinti che l’”italianità” ci salvi sempre e comunque, ma non siamo innovatori. Perché l’innovazione richiede metodo e costanza, visione strategica e lungimiranza, capacità di pianificazione e spirito di adattamento. Sullo spirito di adattamento non ci batte nessuno, ma su tutto il resto abbiamo molto, molto da fare. E da imparare.
  • Coraggio, che in un momento come questo è forse uno degli asset più importanti. In un Paese in cui molti, troppo hanno perso persino il coraggio di sognare e con esso la capacità di progettare il proprio futuro, il primo elemento di cui abbiamo bisogno è proprio il coraggio. Il coraggio di credere in noi stessi, tanto come sistema Paese che come singoli individui ed aziende. Il coraggio di scommettere sulle nostre forze, sui nostri progetti, sulle nostre risorse. Il coraggio di immaginare un futuro diverso. Il coraggio di avere una visione. E la forza per perseguirla.

Research 2 Business: con Aster ed EEN per l’innovazione
Conoscenza, competenze, consapevolezza, cultura e coraggio. Questo è quanto vogliamo raccontare nel nostro nuovo canale: Research 2 Business. Un canale sviluppato assieme a chi di supporto alla ricerca industriale e allo sviluppo pre-competitivo si occupa da anni. Con Aster ed Enterprise Europe Network nei prossimi mesi racconteremo le eccellenze italiane, le esperienze di rilievo, le opportunità e le strade per mettere in contatto il mondo della ricerca e quello del business. Lo faremo con interviste, approfondimenti, vision, speciali. Ed il 4 ed il 5 giugno prossimi, in occasione della decima edizione dell’evento R2B, uno dei più importanti in Italia in questo settore, ci incontreremo a Bologna e proseguiremo il nostro percorso di consolidamento di una comunità di pratiche che è forte ed ha molto da raccontare.

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