Microsoft: da MSN al Comune di Pesaro come sbagliare tutto e vivere felici

Non si può negare il fatto che Microsoft sia un’azienda orientata al cambiamento. Anche perchè ha la rara capacità di sopravvivere a scelte discutibili e strategie sballate, uscendone sempre bene (in questo, va detto, l’azienda è impareggiabile).

Un po’ di esempi? Chi ha qualche capello bianco ricorda la protervia con la quale venne lanciato, quasi vent’anni fa, The Microsoft Network, oggi MSN. Un service provider che, in pieno boom di internet, voleva esserne un sostituto; una vera e propria alternativa “proprietaria” alla Rete. Insomma: un’operazione davvero geniale. Una storia, quella di MSN, negli anni più volte rivista e corretta dalla stessa Microsoft. Ma che racconta, in sostanza, di come Microsoft, dopo aver capito di aver preso una cantonata, abbandonò i protocolli proprietari sui quali originariamente si basava e si “piegò” ad Internet. Ma lo fece solo quando capì che non poteva batterlo.

Stessa storia con il tema della mobilità. Al di là del vizio di sviluppare sistemi chiusi e protocolli proprietari (si, è un vizio duro a morire), negli anni scorsi Microsoft non è mai riuscita a comprendere il ruolo dirompente della mobilità nel futuro dell’informatica. Futuro che ormai è presente e talvolta recente passato e che sta costringendo da anni l’azienda di Redmond a sforzi immensi per comprendere un mondo che non è più quello che era quando aprì le sue “finestre” sull’Information Technology. L’azienda non ha mai avuto la sensibilità (o l’umiltà) per rendersi conto del fatto che bisogna guardarsi intorno e comprendere cosa fa il mercato, per anticiparlo e capire dove andare. In tema di geniali predizioni, non sorprende che Ballmer nel 2007 disse che l’iPhone sarebbe stato un flop. Predizione così sballata da costringere in seguito lo stesso Bill Gates ad ammettere che, sulla mobilità, inizialmente l’azienda non aveva capito un fico secco. E c’è da dire che a guardare i risultati della devastante acquisizione di Nokia non è che si possa dire che la lezione sia servita a qualcosa. Altro flop totale costato oltre sette miliardi di dollari e 25.000 posti di lavoro.
E che dire delle interfacce utente? Tra una finestra e l’altra, Microsoft ha impiegato anni per capire che prendere un’interfaccia a finestre e comprimerla in uno schermo da pochi pollici non è esattamente la strada migliore per il successo, in termini di user experience (e pure di architettura software, a dirla tutta). Solo quando tutto il resto del mercato si è mosso nella direzione opposta, e con mille mal di pancia, ha deciso di abbandonare le sue finestre ormai corrose dal tempo.

Insomma:

    • Su Internet Microsoft ha sbagliato.
    • Sul ruolo della mobilità e del mobile computing ha sbagliato.
    • Sull’acquisizione di Nokia ha sbagliato.
    • Sullo sviluppo dei modelli di interface design ha sbagliato.

E sull’OpenSource?
Per anni Microsoft ha dato l’impressione di voler considerare l’Open Source come il risultato dello sforzo di un branco di nerd, i cui impatti potevano essere limitati a poche nicchie di utenti. O almeno, è questo quanto emerge dalle sue strategie di comunicazione. Ancora una volta, però, si è trovata (un’altra volta in ritardo) a rendersi conto delle dimensioni di un fenomeno che le è sfuggito di mano, ripercorrendo in maniera singolare le stesse tappe compiute con MSN. Ed è quindi con l’entusiasmo del convertito, che nel profondo del suo cuore rimane fedele alla sua dottrina originale, che ha abbracciato l’open source. Un abbraccio del diavolo con il quale Microsoft spera di mantenere il predominio sui formati e – grazie all’effetto bandwagon – garantire continuità al suo business prevalente, che è quello del software, opportunamente riletto in salsa cloud con Office365.

In quest’ottica sta cercando a tutti i costi di dimostrare che le sue soluzioni sono più economiche, più performanti ed in ultima analisi migliori di quelle disponibili nell’universo open. Ed ha bisogno di “champion” che dimostrino la validità delle sue strategie. In quest’ottica va letta l’operazione di Pesaro, con la quale Microsoft Italia ha convinto il CIO del Comune a passare da soluzioni open (quelle raccomandate dalla legge, peraltro) alle sue piattaforme. Con tanto di supporto stampa (che ovviamente a Microsoft ed ai suoi budget pubblicitari un articolo compiacente non si nega mai) e ricerche un tanto al chilo.

Sono bastati un po’ di effetti speciali (che dire di un comunicato stampa dove si dice che i dipendenti potranno lavorare anche in piazza?) ed un CIO che con una scelta scellerata torna a sistemi Microsoft dopo non aver capito come implementare soluzioni Open Source, giustificando il passo indietro ed il conseguente spreco di risorse pubbliche con il più classico e cialtrone degli “io non c’ero” (riferendosi alla scelta degli anni scorsi di passare a soluzioni open).

In Italia il Comune di Pesaro rappresenta, per Microsoft, l’opportunità di dimostrare che le sue soluzioni sono economicamente convenienti anche per utenti che ne usano il 20% delle feature. E questo spiega tanto impegno, con improbabili articoli su Wired e sulla stampa locale. Un caso di studio insomma. Una “best practice” che apra le porte della PA italiana.
Ma anche in questo caso, neanche a dirlo, Microsoft ha sbagliato. Perché la tanta attenzione sollevata non è sfuggita a quelle “community di nerd” che non hanno digerito un’operazione basata su numeri che definire fantasiosi è dir poco. Né è sfuggita a testate internazionali come TechRepublic, JoinUpCIO.co.Uk. E persino le testate locali italiane più attente se ne sono accorte. Testate che si son giustamente chieste come mai, quella di Pesaro, sia stata una scelta così difforme rispetto a quella di tutto il resto della PA italiana (e non solo). Una PA ben consapevole del fatto che senz’altro le soluzioni Microsoft offrono molto di più dei sistemi open, ma che se questo di più non serve rappresenta uno spreco di risorse pubbliche.Anche su questo, quindi, Microsoft ha sbagliato. Ma dei suoi errori, ormai, nessuno si meraviglia più, anche perchè Microsoft incredibilmente non riesce mai al primo colpo, ma riesce sempre a rialzarsi. Non lo stesso, tuttavia, si può sempre dire dei suoi clienti.

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