Esisterà mai una terza via?

C’è speranza di sfuggire dalla tenaglia che ci sta paralizzando e soffocando?

Questa mattina sono uscito a fare due passi e ripensavo a quel che accade in questo periodo e, soprattutto, a come reagiamo e ci comportiamo rispetto alle sfide che ci troviamo ad affrontare. È un tema che riguarda la politica, ma non solo: è innanzi tutto una questione culturale e sociale, anche perché la politica è l’espressione di quel che siamo e non certo una realtà aliena giunta da un’altra dimensione attraverso un qualche fantascientifico tunnel spazio-temporale.

La mia sensazione è che ci stiamo sempre più polarizzando su due posizioni opposte e entrambe drammaticamente sbagliate e disastrose per noi e per il nostro Paese.

Quelli “contro”

  • Ci sono tanti che non vogliono cambiare, non vogliono abbandonare posizioni di comodo o alle quali si sentono legati. Oppure sognano il ritorno ai “bei tempi passati” in modo acritico e superficiale, contro tutto ciò che non appartiene al loro vissuto e alla loro tradizione. Non si rendono conto che la Storia va avanti e che il cambiamento e l’evoluzione fanno parte della nostra stessa umanità.
  • Ci sono tanti che si sentono tagliati fuori dai “luoghi che contano” e cheinvece di organizzare una proposta alternativa si limitano a “essere contro”, sempre e a prescindere, a costo di contraddire il loro stesso pensiero.
  • C’è l’onda immensa della banalizzazione dei problemi, della semplificazione della complessità, del “ho letto su Internet che …”, dei dibattiti di macroeconomia fatti su Twitter a colpi di 140 caratteri, dove il casalingo di Voghera cita un tweet di Krugman e si illude di interpretarne il pensiero citando a caso nomi come Keynes e Stiglitz, o la storia della svalutazione del sesterzio romano, per giungere a spiegarti che Draghi non capisce niente, che la Merkel ci eteroguida tramite il Bilderberg e Monti, e che i direttori stranieri dei musei sono lì per portare il David di Michelangelo a Berlino. Il problema, ovviamente, non sono i singoli “casalinghi” più o meno aggressivi, ma il fatto che su questi discorsi e atteggiamenti ci siano persone che costruiscono consenso e seguito, proponendosi come guide in grado di indicare il futuro di questo nostro Paese.

Quelli “a favore”

Sull’altro lato “della barricata”, spesso troviamo chi vuole cambiare, chi ricerca “il nuovo” e si rende conto serve innovare il nostro Paese. Ma troppo spesso questa inclinazione di fondo positiva si combina conipersemplificazione dei problemi, discrasia tra dichiarazioni di intenti e fatti, mancanza di strategia e capacità di execution, scarsa accountability, incapacità di costruire una classe dirigente all’altezza delle sfide da affrontare.

Per di più, a tutto questo si sovrappone la iattura delle cordate, il “valore delle relazioni”, l’appartenza al “giro giusto”, persino l’origine geografica. Viviamo una sterile contrapposizione tra “noi/voi”, tra chi è allineato e fa parte “del giro” e chi ne sta fuori, tra chi si accoda acriticamente (e spesso in modo interessato) e chi cerca inutilmente di interloquire. È un continuo sostenersi tra quelli che “sono dentro” e si contrappongono a quelli che “sono fuori”.

Se uno dice che un progetto ideato per risolvere un problema non ha senso o è pensato e gestito male, scatta subito la semplificazione e la difesa acritica: “ma allora non vuoi risolvere il problema!” Ancora peggio, quando si cerca di far notare questi problemi ecco che nascono “i gufi”, gli invidiosi, oppure “quelli che non hanno mai fatto niente e criticano chi fa”: frasi sparate un po’ alla cieca, “a priori”, senza conoscere né i fatti né la storia delle persone, con l’unico intento di parare le critiche non rispondendo nel merito, ma spostando il discorso sulla banalizzazione del “vecchio vs. nuovo”.

È questa la trappola: 
o di qua o di là; 
o sei con me o sei contro di me; 
o sei per il cambiamento o sei contro.

Che speranze hanno una classe dirigente 
e un Paese che si comportano così?

Esisterà mai una terza via tra la contrapposizione preconcetta e superficiale, e l’adesione cieca e acritica? Ci sarà mai spazio per i leali o solo per i fedeli? Le persone saranno sempre e solo etichettate per il loro esser “contro” o “allineate”, oppure per le competenze e i contributi che sono in grado di offrire?
Ci sarà una vera meritocrazia o saremo per sempre perseguitati dalla logica delle cordate?
Usciremo mai dalla logica stupida e becera del “friend or foe”?

È facile cadere nella retorica e nel moralismo, ma credo che se non affrontiamo questi temi una volta per tutte, con coraggio e reale disinteresse, non avremo mai quella discontinuità e quel cambio di passo di cui abbiamo disperatamente bisogno.

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1 COMMENT

  1. Bellissima riflessione.
    Una nota sulla parte finale: è vero, si deve entrare nel merito delle questione e “il cambiamento per il cambiamento” non paga.
    Ci sono, però, interi settori che del “è giusto cambiare ma non in questo modo” fanno un’arma per procrastinare il cambiamento ad un eterno domani. E la scuola non è esente da questo vizio.

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