Come calcolare il ROI su social media: uno «stetoscopio» per una vendita utile

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In queste 5 parole sta il senso di ogni social media marketing maturo e consapevole, del digital marketing che intelligentemente scelga i social come piattaforma per la promozione del proprio business.
Queste almeno le conclusioni cui siamo giunti analizzando, la settimana scorsa, il senso del ROI su social media, spesso chiamato in causa senza averne chiara la natura. Ci siamo dunque chiesti «che cos’è», che si abbia per le mani quando ne parliamo, per capire poi «come ottenerlo» e, dunque, come misurarlo. Ci siamo anche presi la libertà di… mostrarlo direttamente con un piccolo video: 

Video volutamente artigianale e senza pretese – come da mio già dichiarato mea culpa! – e che però, tra musica e immagini, indirizza forse prima e meglio di tante chiacchiere al punto. Per le aziende oggi il ROI su social media è un fatto di responsabilità: è questione di «cuore», da giocarsi tutto, a 360 gradi, per esser di aiuto al cliente-amico – anche se poi il problema non lo risolvi, ma almeno ci provi, sei stato presente. Questa è responsabilità: esserci, a prescindere e sempre, dando comunque il massimo, con tutto se stesso, col «cuore», oggi, domani e sempre.

Pane-3Per chi ha bisogno, sarà già più che abbastanza al fine di sentirsi rassicurato, certo di aver davanti una “persona” – il Marketing Personas su cui tutti dovrebbero puntare oggi – sincera, di fiducia, “di famiglia”. Che se ti vende qualcosa è perché sa che ti serve. Un «marketing del volontariato» quello da metter in opera oggi: egoisticamente altruista, altruisticamente egoista. Un marketing «tanto utile che la gente farà la fila alla tua porta», direbbe Jay Baer: perché il prodotto del brand è utile per te, ha una specifica youtility – o per dirla con Seth Godin, è good, «buono». Buono come il pane: fatto col cuore e appena sfornato, con l’aroma fragrante ancora nell’aria.

R = R = 4 R = KRAC. Questa la formula per avere successo su social, dicevamo: la risposta alla domanda su «come ottenerlo».

«Sì, ma come misurare l’efficacia di questa poetica equazione, alquanto fantasiosa in apparenza?». Domanda che ci siamo fatti più volte. Le risposte sono mille: nessuna ancora davvero risolutiva. Non almeno in senso scientifico: non cioè con la stessa matematica certezza con cui si possa dire che 2+2 fa 4. Che ho speso 10€ per comprare X, l’ho rivenduto a 15 e, dunque, ci ho guadagnato 5. Su web e social, a mio parere, non funziona così.

Eh no: perché qui c’è di mezzo il cuore, il senso di responsabilità. Insomma, è un po’ come chiedersi… «Mi ami? Ma quanto mi ami?». Quante volte l’abbiamo detto anche noi – da adolescenti e non solo – senza trovar mai ahinoi risposta, se non in un rapido sguardo all’oroscopo o nei petali della tradizionale margherita? Il «m’ama, non m’ama» prescinde da risposta scientifica. Sta negli occhi del partner, in ciò che si sente nel reciproco sfiorarsi di una mano. Possiamo forse dire che sia una «risposta esatta» – come le metriche consuete vorrebbero e aspirerebbero a fornire?

No, evidentemente. È che qui sentiremmo il bisogno di un «misuratore del cuore», della responsabilità. E per trovarlo occorre intanto saper dire 4 no e 4 sì:

NO a metriche:

  1. «quantitative» in senso classico, basate su semplici likes, comments, share, retweets, PlusOne e così via. Il puro buzz non è che noise, rumore: non significa qualitativamente elevata brand awareness, né tantomeno vendite;
  2. «qualitative» in senso tradizionale. Anche il tanto decantato sentiment infatti, sempre più al centro degli studi e dell’elaborazione dati di illustri piattaforme di analisi, non tiene traccia di conversazioni invece fondamentali per misurare la soddisfazione del cliente verso l’azienda, dunque del suo effettivo «sentimento». Ci riferiamo ai messaggi privati di Facebook, i direct messages di Twitter, le conversazioni private in generale, sempre più usate invece soprattutto nel #SocialCare, ma inaccessibili per ovvi motivi di privacy. Come si può però restituire un’immagine corretta della customer satisfaction basandoci solo sulle conversazioni pubbliche? Anche qui non ci siamo;
  3. basate su compravendita fan e simili, deplorevoli nonché inutili. «Tanti» fan – ça va sans dire – non significa «veri».
  4. basate esclusivamente sui risultati della Social Ads. La pubblicità è in sé garanzia di engagement? No. Proprio i contenuti privilegiati dalle piattaforme social e mostrati per primi nella Home, nel News Feed, tra le notizie in primo piano, debbono essere interessanti, ingaggianti, tali da indurre il cliente al dialogo. E non sempre è detto che i fan pur numerosi ottenuti da una campagna debbano per forza finire col passaparola e farti vendere. «Tanti» qui può anche significare «veri». Ma non per forza qualitativamente interessanti, coinvolti: clienti tali o potenziali cioè come servono al brand.

SI’ invece alla «Innovazione nella Tradizione»:

  1. metriche che siano cioè anche prese tra quelle «tradizionali», quantitative e qualitative…
  2. … aggiustando però il tiro, ove necessario, con misura e buon senso;
  3. metriche dunque che valorizzino quelle «buone» già presenti…
  4. … sapendo però guardare oltre.

Social-Media-ROI-01«Oltre»: dove? Qui torniamo al punto. Se il prodotto che vendiamo è caratteristico per il suo essere «Good!», allora ci vuole una buona metrica: una metrica buona, come il pane. Che sappia darsi il tempo di lievitare, aspettando con pazienza: “dormicchiando”, senza fretta, facendo fermentare e cuocere ciò che richiede tempo dopo la semina – dopo l’infornata, verrebbe da dire, riprendendo l’esempio – per dare risultati. Una metrica a lungo termine: resiliente, che in un’azienda presuppone un management in gamba e acuto per far preferire, al «total shareholder return» – le cedole da staccare oggi – la «customer centricity» – il pensare dove saremo domani agendo con una prospettiva ad ampio spettro.

In sintesi? Ci vuole uno «stetoscopio»! Un coefficiente del cuore, dei battiti, della pressione, del polso, della “febbre” del network, costantemente aggiornata in real-time: una spia di onde radio, che sappia captare segnali di frequenza tanto intangibili quanto incisivi e ben distinguibili: i cosiddetti «trust signals».

Non esiste forse oggi una metrica con queste caratteristiche. Giusto un paio di esempi vengono alla mente, da intendersi come modello per la «nuova, buona metrica» di cui siamo in cerca: l’NPS, il Net Promoter Score, metrica tipica del #SocialCare, e il cosiddetto VOLARE. Di che cosa si tratta? Ne discuteremo, a caccia di ciò che possa restituirci la misura di ciò che veramente conta: il grado di «passaparola», di Word of Mouth Marketing – un World of Mouth Marketing, come Socialnomics ricorda – in grado di garantire successo al business.

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Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

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