Digital tax: tassa o non tassa per i colossi della rete?

L’annuncio del Presidente del Consiglio Renzi sull’introduzione della Digital Tax verso i colossi del web ha creato un terremoto che ha riportato alla mente le polemiche, i passi avanti e i passi indietro, della web tax, la nota e discussa tassa promossa da Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati, che lo stesso Premier ha pubblicamente bocciato nel 2014.

Una mossa, quella del Presidente del Consiglio, con cui l’Italia annuncia di voler accelerare sull’annoso tema, più volte sollevato a livello nazionale e ancora di più a livello europeo, sulla tassazione dei giganti della rete, Google ed Apple in primis: I grandi player dell’economia digitale mondiale che per me sono dei miti, come Apple e Google, hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business: allora noi siccome stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea abbiamo deciso di attendere la UE tutto il primo semestre del 2016“.

Il nuovo annuncio e i primi dubbi

Il Premier, ci ha spiegato l’avvocato Guido Scorza, in questo senso è stato preciso nel sottolineare che “immaginiamo una digital tax che vada con meccanismi diversi da quelli immaginati nel passato per far pagare le tasse nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi, un principio di giustizia sociale.” Non solo: sempre nel breve lasso di tempo dell’annuncio televisivo che ha creato tanta polemica, Renzi anche precisato che “non lo facciamo per raccogliere soldi ma per una questione di giustizia sociale”.
Tutto questo lascia intendere uno scenario diverso da quello che si può immaginare in prima battuta, spiega Scorza. “Probabilmente su questa proposta c’è, ad oggi, molto meno di quello che si pensi, non esiste un disegno di legge punto su punto sul tema. La mia idea è che più che di una nuova tassa, il governo stia discutendo di una iniziativa anti elusione.”
Una mossa quindi legata alla
 possibilità di “assumere la leadership dei paesi che, nei prossimi mesi, si ritroveranno, necessariamente a dover ragionare su come dare attuazione alle linee guida, che l’Ocse sta per definire – ma che a Palazzo Chigi sono certamente già note – proprio in materia di disciplina della tassazione delle transazioni online.”

In questo senso l’annuncio di Renzi, anche rispetto al contesto Ue che sul tema della gestione fiscale dei colossi della rete deve pronunciarsi, avrebbe uno spazio di manovra autonomo perchè andrebbe ad anticipare la realizzazione di quello che suggerisce Ocse nelle attese linee guida. Se, invece, la prospettiva fosse davvero una nuova tassa, “il governo avrà possibilità di manovra autonoma prossima allo zero sotto il profilo della disciplina fiscale internazionale. Ma non penso che sia questa la strada. “

Una lettura, quella della mossa anti elusione che molti miliardi frutterebbe alle casse dello Stato, che trova riscontro anche nelle recenti dichiarazioni di Ernesto Carbone, responsabile Innovazione segreteria nazionale Pd che ha sottolineato: “La proposta della cosiddetta Digital tax non è una nuova tassa. Non si interviene sull’Iva, che, com’è noto, è disciplinata a livello europeo. Si tratta invece di norme che si riferiscono al fatturato di svariati milioni di euro prodotto in Italia da colossi aziendali che operano nel digitale senza avere sede nel nostro Paese. Una misura corretta ed equa anche nei confronti delle altre imprese che non operano nel settore digitale e che servirà a recuperare risorse per finanziare provvedimenti a favore dei cittadini”. 

E’ difficile, in questo contesto, fare previsioni reali su quello che accadrà nei prossimi mesi: quello che è certo, come lo era ai tempi della discussa Web Tax , è che l’Italia ha bisogno di attrarre aziende e creare contesti quanto più favorevoli all’ingresso di attori anche internazionali, ancor più se legati all’innovazione e al digitale, che possano voler investire nel BelPaese. E vuol dire anche, di contro, creare condizioni favorevoli per tutte quelle imprese italiane che lavorano con il web e che potrebbero finire “vittima” di norme e regole pensate per i colossi quindi non sostenibili.

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