Corte di Giustizia Ue: niente IVA per i bitcoin

Di Giovanni Iaselli e Alberto Sandalo

Di recente, qualcosa di estremamente importante si è verificato nella finora breve storia dei bitcoin. Sorprendentemente (o forse no) si tratta di qualcosa che a che fare con il loro trattamento fiscale. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, infatti, si è pronunciata lo scorso 22 ottobre nel caso Hedqvist (causa C-264/14) e ha affermato che le transazioni che implicano un cambio tra bitcoin e moneta avente corso legale sono esenti dall’IVA.

Cosa sono le criptovalute?

BitcoinL’OCSE ha definito le criptovalute come “unità digitali il cui valore non è determinato sulla base di moneta avente corso legale”. La rivoluzionaria novità dei bitcoins è proprio questa: la loro produzione e la circolazione avviene sulla base di un network di operatori che si sviluppa dal basso, privo di un controllo centrale e soprattutto senza la necessità di alcun intermediario. Un sistema di crittografia garantisce la sicurezza delle transazioni, cioè la possibilità di ricondurre qualsiasi transazione a quella precedente che l’ha generata, fino a risalire alla prima emissione di bitcoin. Attenzione, però: chi compie una transazione in bitcoin è identificato soltanto tramite un codice informatico, in modo perciò completamente anonimo.
La produzione di bitcoin (il “mining“) richiede la soluzione di complessi algoritmi e, pertanto, un ingente fabbisogno sia software sia hardware. Il miner non fa altro che apportare (spesso organizzandosi in gruppi) le proprie capacità di produzione alla piattaforma, ricevendo bitcoins in cambio. E più numerose sono le transazioni, più l’algoritmo che sta alla base del sistema di crittografia diventa più complesso, rendendo il sistema più sicuro ma anche maggiormente bisognoso di risorse.

I bitcoin e l’IVA

È da tempo che gli operatori si interrogano se i bitcoin debbano scontare una qualche forma di tassazione e, se sì, quale. Il problema principale riguarda gli scambi tra bitcoin e moneta legale. Negli ultimi tempi, un numero sempre maggiore di start-up nasce con lo scopo di perseguire questo modello di business. Su tali transazioni si applica l’IVA?
I governi degli Stati membri UE hanno finora fornito risposte contrastanti, alcuni esplicitamente garantendone l’esenzione (come Spagna, UK, Belgio), altri sollevando perplessità (Estonia, Polonia, Germania). È su questo tema che è intervenuta la Corte di Giustizia, con una sentenza che vincola tutti gli Stati membri (anche quelli, come l’Italia, che erano stati finora rimasti in silenzio).
Il ricorrente è un cittadino svedese, il sig. Hedqvist, la cui start-up company fornisce un servizio di scambio tra bitcoin e corone svedesi, contro il riconoscimento di una commissione percentuale sull’importo.

La pronuncia della Corte di Giustizia

Il giudizio della Corte si articola in due parti. Nella prima, la questione è se le transazioni in cui criptovalute vengono scambiate per monete legali (e viceversa) rientrino o meno nel campo di applicazione dell’IVA. E qui la Corte fissa un principio fondamentale: i bitcoin non sono “beni materiali“, in quanto “questa valuta virtuale non ha altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento“. Monete aventi corso legali e criptovalute perseguono, quindi, esattamente la stessa funzione. E le transazioni bi-direzionali di bitcoin contro monete legali sono prestazioni di servizi, che, se svolte a titolo oneroso, sono soggette a IVA.

La Direttiva IVA (Direttiva 2006/112/CE) prevede, tuttavia, che determinate transazioni debbano beneficiare dell’esenzione dall’imposta. Tra queste, figurano “le operazioni […] relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio“. Nelle versioni di molte altre lingue dell’Unione, il riferimento al “valore liberatorio” è sostituito dal requisito ben più incisivo del “valore legale”. Sembrerebbe così che l’esenzione non trovi applicazione ai bitcoin. Senonché la Corte, anche alla luce delle differenze linguistiche dell’Unione, interpreta la disposizione alla luce dello scopo perseguito dall’esenzione.

Tale scopo è individuato nella necessità di non ostacolare l’agevole convertibilità delle monete nazionali con ogni altro mezzo di pagamento. In un mercato unico efficiente, infatti, è cruciale che le transazioni in cui una moneta viene scambiata per un’altra scontino i minori oneri possibili. L’esenzione dall’IVA è perciò, in questo caso, funzionale all’efficiente funzionamento degli scambi nel mercato interno. Ma tale principio non può valere solo per le monete aventi corso legale, bensì per ogni mezzo di pagamento. Secondo la Corte di Giustizia, quindi, anche per i bitcoin. Scambiare un determinato importo di criptovalute in moneta nazionale, e viceversa, costituisce quindi una prestazione di servizi sulla quale l’IVA non va applicata (in quanto prestazione esente).

Il principio decisivo, infatti, è proprio questo: monete legali e bitcoin sono semplici mezzi di pagamento, hanno la stessa funzione, e alla luce di ciò devono sottostare alla medesima disciplina. Si tratta di un principio innovativo al quale legislazioni e prassi di tutti gli Stati membri dovranno adeguarsi, potenzialmente in grado di spiegare effetti anche al di là del campo IVA.

Un principio che, è proprio il caso di dirlo, mostra anche l’altro lato della medaglia, quanto meno ai fini IVA.  Tematica che coinvolge tanto le piccole startup, quanto le attività di scambio tra bitcoin e monete legali esercitata da società più grandi e maggiormente strutturate, che tendenzialmente sostengono costi maggiori (si pensi alla licenza per l’uso di software, al costo di acquisto di componenti hardware, ai canoni di locazione degli uffici). In questo caso, se è vero che le prestazioni rese sono esenti da IVA, tali operatori del settore dei bitcoin non potranno detrarre l’IVA assolta sugli acquisti la quale diventerà un costo aggiuntivo. In pratica, tali operatori si troveranno a fronteggiare lo stesso status ai fini IVA in cui versano attualmente le banche e gli operatori finanziari.

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