Dall’#IoT all’Internet of Vehicles: intervista a Mario Gerla

Mario Gerla
Mario Gerla è professore del dipartimento di Computer Science della University of California (Ucla).

Autostrade intelligenti su cui si spostano macchine che si autoguidano che viaggiano alla stessa distanza le une dalle altre e alla stessa velocità, scambiandosi dati e informazioni in tempo reale tra loro. Non è uno scenario di viabilità e trasporti extraurbani così lontano quello appena descritto e, anzi, potrebbe diventare realtà tra non molti anni: “le tecnologie per realizzare quella che noi chiamiamo la Internet of Vehicles esiste già. Ora bisognerà affrontare e risolvere alcuni nodi cruciali che ne permetteranno la concreta realizzazione.”  Ne abbiamo parlato a Milano, a margine dell’IEEE World Forum On Internet of things, con Mario Gerla, professore del dipartimento di Computer Science della University of California (Ucla) e uno dei massimi esperti globali sul tema reti e mobilità intelligente.

Perché parlare di IoV invece che IoT? In realtà si tratta di un sotto insieme della famiglia dell’IoT, spiega il prof. Gerla, che necessita, a parere dell’esperto, di una distinzione dal più generico Internet of things. Questo perchè gli autoveicoli sono sempre più piattaforme ricchissime di sensori, capaci di assorbire e gestire dati diversi e provenienti da ambienti diversi ma con una serie di variabili in più che altri sistemi IoT, ad esempio quelli domotici, non devono considerare.

Il primo fattore è la velocità: l’IoV, ad esempio, ha nella velocità e nel movimento le sue caratteristiche principali: impianti di riscaldamento smart nelle case non hanno il problema di gestire la connettività degli utenti in movimento. E gli ambienti domestici non hanno neppure la enorme varietà di sensori e quindi di dati disponibili che hanno le vetture intelligenti. “Ci sono almeno quattro tipi di sensori che ruotano attorno alle auto: quelli esterni, come i GPS o i sistemi Lidar, quelli interni legati al funzionamento dei veicoli collegati ad esempio a freni o sterzo, e ancora i sensori interni ma legati al confort del guidatore che rilevano anche parametri vitali e che possono prendere il controllo in caso di malore. E oggi abbiamo anche i messaggi prodotti dai conducenti via mobile.”

Il secondo tratto distintivo dell’Internet of Vehicles è legato alla sicurezza. Nel caso specifico, a differenza dell’IoT domestico, il problema non è solo quello di evitare attacchi hacker che possano mettere a rischio dati personali contenuti nei device di casa. Nel caso dell’IoV il problema è immediatamente correlato alla vita delle persone.
Si pensi al modello di viabilità V2V sostenuto Department of Transportation negli Stati Uniti, modello che vede i veicoli smart inseriti in un contesto altrettanto smart capaci di muoversi e scambiarsi messaggi in modo cooperativo: è chiaro, spiega Gerla, che “se un attacco hacker compromettesse il flusso di comunicazione tra le macchine, le conseguenze sarebbero maggiori di un furto dati: si rischiano incidenti e anche molte vite umane.”
Un assaggio di quello che potrebbe accadere lo si è avuto col noto hacking a fini dimostrativi che ha colpito la Jeep Cherokee: due hacker sono entrati nei sistemi della vettura e, a distanza, ne hanno preso il totale controllo. In quel caso, spiega il prof. Gerla, il problema è che gli hacker sono riusciti, dopo mesi di prove, a sfruttare una vulnerabilità della rete legata all’entertainment dell’auto andando a impossessarsi poi della rete che gestisce i comandi della macchina. “Questo dovrebbe essere impossibile se, come dicono molti automaker, i sistemi fossero realmente distinti ma non è così semplice.”
Di attacchi alla sicurezza di un veicolo in movimento, però, ve ne sono di diverse varianti: in alcuni scenari, “gli hacker potrebbero creare una sorta di car-botnet, in analogia con il funzionamento dei tradizionali botnet, e far si che la macchina infettata invii messaggi errati alle altre macchine che seguono con tutte le conseguenze del caso.”

Ed è qui si cela la grande paura, oggi, degli automaker: un sistema di questo tipo presuppone veicoli con tecnologie e sistemi in grado di scongiurare, o comunque minimizzare, eventuali attacchi hacker. Ciò vuol dire diventare progressivamente sempre più aziende di Information technology in piena logica di Internet of Everything.

Resta da sciogliere, infine, il nodo legislativo in riferimento ai dati che vengono gestiti dalle macchine intelligenti: chi ne sarà responsabile? “In Usa la responsabilità sarebbe dell’utente che possiede il veicolo ma le norme devono, anch’esse evolvere” per stare al passo con l’innovazione.

E’ chiaro, a questo punto, come l’IoV, che ha un proprio ecosistema di connettività, di storage, di intelligenza e di capacità adattive per anticipare le intenzioni degli utenti, porterà alla identificazione di un vero e proprio Vehicular cloud, che supporti e risponda a tutte le complesse necessità dei veicoli a guida autonoma del futuro.

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