“A seguito del mancato rinnovo dell’accordo Rai-Google, dal 1 giugno (di due anni fa, ndr) la Rai può procedere alla rimozione definitiva del suo canale ufficiale su YouTube. Sempre dal 1 giugno, la Rai può chiedere la rimozione dei 40.000 video “catturati” negli anni dagli utenti YouTube dai propri canali. Questi ultimi sono quasi tutti materiali d’archivio, sui quali (proprio in virtù di quell’accordo) Google – grazie al sistema ContentID – riconosceva alla tv pubblica italiana una quota di ricavi in base alle views di ogni clip”. Così recitava la premessa di una petizione ideata e lanciata da Antonio Pavolini di due anni fa, che raccolse quasi 2.000 firme, e che invitava la nostra TV pubblica a tornare sui suoi passi.
La vicenda si è riaperta in questi giorni dopo che il direttore Digital della Rai, Gian Paolo Tagliavia, in audizione in Commissione di Vigilanza, ha dichiarato di non avere preclusioni rispetto al rapporto con piattaforme globali quali Youtube e Facebook, ma che Rai ha però “un ruolo e una storia che richiede un rapporto più personalizzato“.
L’apertura al confronto è certa, anche se RAI non rilascia dichiarazioni a riguardo (se non quelle diramate dalle agenzie di stampa nei giorni scorsi) proprio perché afferma che è in corso una trattativa.
“Molti hanno dato la notizia evidenziando l’aspetto economico – afferma Alberto Marinelli, professore di teorie della comunicazione e dei nuovi media all’Università La Sapienza di Roma – ma ritengo che sia più che altro necessario soffermarsi a riflettere sul riassetto delle politiche strategiche nel digitale della televisione pubblica, strettamente correlate con i diritti di cittadinanza digitale di tutti“. Insomma, una lettura positiva della notizia visto che “RAI, riaprendo le trattative, riconosce che piattaforme come Youtube esistono, sono frequentate da milioni di persone ogni giorno e che possono costituire l’occasione per valorizzare alcuni contenuti oltre che, come ha sottolineato lo stesso Tagliavia, riavvicinare un pubblico, come quello giovanile, ora distante“.
Lo stesso Tagliavia ha illustrato la profonda trasformazione della TV affermando “la necessità di prendere coscienza del fatto che il digitale non è un orpello ma è ormai la televisione stessa“. Tanto che, anche in virtù di questo, in organigramma c’è adesso una direzione ad hoc: la Digital appunto.
Quale RAI con il digitale?
“Penso alla vastità del repertorio delle teche, per esempio nel settore education, da poter valorizzare – continua Marinelli – digitalizzandolo e mettendolo a disposizione di tutti, anche attraverso una negoziazione personalizzata con le piattaforme, ma che consenta una facile fruizione di questo importante patrimonio. Un modo, questo, per contribuire ad accrescere le competenze digitali del Paese“.
Della stessa opinione circa la valorizzazione delle teche è Antonio Pavolini che invitava, con la sua petizione già due anni fa, a “Non staccare la spina perché l’archivio RAI è un patrimonio di tutti gli italiani, e renderlo fruibile a tutti è un dovere per un’azienda pubblica”.
All’unisono si riconosce quindi la necessità di avvalorare i contenuti di 50 anni di TV, tanto che lo stesso Tagliavia ha affermato che tra le linee evolutive c’è sicuramente “la valorizzazione dei nostri contenuti (il pensiero non può non andare alle Teche)” oltre al contributo specifico alla riduzione del digital divide.
“La fruizione – afferma Pavolini – potrebbe avvenire anche attraverso una piattaforma proprietaria come fa ad esempio la televisione pubblica francese che mette a disposizione la storia della sua TV a bassa risoluzione dietro pagamento di una cifra minima, sufficiente a contribuire ai costi di gestione della piattaforma proprietaria, e ad alta risoluzione a prezzi più alti. Usare Youtube è la soluzione alternativa alla piattaforma proprietaria che consente di rendere fruibili materiali di grande valore, avendo il modo di monetizzare per RAI anche attraverso il meccanismo che era stato individuato fino a scioglimento dell’accordo“.
Finora il materiale d’archivio, pubblicato in stragrande maggioranza su canali non ufficiali (quindi illecitamente) su YouTube, è stato rimosso su richiesta della stessa RAI, anche se non si conosce l’entità dei video (sui 40mila rilevati) ancora presenti.
“La televisione pubblica – continua Pavolini – ritengo abbia un dovere nei confronti degli abbonati: quello di mettere a disposizione contenuti non solo presenti ma anche passati“.
Nel frattempo che si prenda una decisione sul sì Youtube o no Youtube, Tagliavia ha annunciato l’impegno rivolto alla semplificazione del sistema di navigazione, vista l’attuale difficoltà fatta notare da più parti, nel reperimento di materiali nel sito di mamma RAI. La promessa è: “Fare meno siti e renderli più semplici”. Per capire come (e se) usare piattaforme frequentate come Youtube, invece, bisognerà aspettare la conclusione della trattativa.
(foto di schmilblick, CC-BY 2.0)
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